La mano tagliata – Matilde Serao



Matilde Serao
La mano tagliata

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Roberto Alimena, giovane dandy, bello, elegante e annoiato, durante un viaggio in treno da Napoli a Roma si imbatte in un inquietante personaggio, un uomo dagli occhi verdi, freddi ed enigmatici. Sceso dal treno, una volta giunto in albergo Roberto si accorge che l’individuo misterioso ha dimenticato tra i suoi bagagli una scatola. Nonostante intuisca che è meglio lasciare la scatola sigillata, il giovane, trascinato da una curiosità fino ad allora a lui sconosciuta, non riesce a impedirsi di aprirla: gli appare così dinnanzi agli occhi, macabra ma irresistibilmente affascinante, una mano femminile perfettamente conservata, con le dita adorne di gioielli. Non procediamo oltre nella narrazione del romanzo, lasciando al lettore la suspense che la Serao, pur non essendo una giallista, ha saputo mirabilmente creare. Introdotto da una vivida descrizione di Elisabetta Rasy, incontriamo il “personaggio” Serao attraverso lo sguardo dell’americana Edith Wharton, che vede in lei una donna fuori dall’ordinario, una figura incongrua nel conformista ambiente mondano in cui le due si incontrano, ma che colpisce perché ha una dote assai rara: sa ascoltare, con attenzione e interesse. Che la Serao fosse una donna fuori dal comune, dall’ingegno acuto e dalle passioni celate ma intense, ce lo mostrano le pagine di La mano tagliata: dopo una descrizione quasi dannunziana del protagonista Roberto Alimena, il romanzo penetra in atmosfere degne della penna di Hoffman e di Poe, soprattutto nella prima parte; il Maestro, figura satanica eppure profondamente dolente, un Lucifero spogliato della sua originaria bellezza che però mantiene in sé la fiamma di un amore impossibile e disperato, si muove in una Roma spesso notturna, percorsa da echi spettrali: magistrale la descrizione della carrozza con il Maestro e la donna da lui inutilmente amata, quasi un’apparizione ultraterrena che si insinua a intorbidare la giovinezza agiata e senza pensieri di Roberto e dell’amico Ranieri. La seconda parte è invece caratterizzata dal tracimare della passione amorosa: di Roberto, del Maestro, di Ranieri e di Rachele, d’altronde il titolo completo dell’opera è La mano tagliata. Un romanzo d’amore. Scrittrice esperta, la brillante Matilde, anche in un contesto prevalentemente sentimentale, dimostra di conoscere a menadito le tecniche e gli espedienti del genere, come vediamo nell’utilizzo della corrispondenza epistolare per sciogliere i nodi narrativi, oppure nell’inserimento del detective Dick Leslie che, quasi un Virgilio rovesciato, accompagnerà con compassione Roberto nel suo personale Inferno. Leggere la Serao ci riconcilia con la letteratura autentica, colta ma mai autoreferenziale, si pensi ai nomi delle protagoniste, Maria e Rachele: la scrittrice napoletana aveva certo in mente la Digitale purpurea di Pascoli, a cui ruba le torbide atmosfere decadenti, o alla descrizione del Tamigi, tetro, torbido, soffocato da detriti e immondizia che ne oscurano l’originaria bellezza e potenza, correlativo oggettivo del Maestro, anima forse nata pura e luminosa, poi accecata dall’ambizione e dalla fascinazione diabolica del potere. Moltissimi sarebbero i riferimenti, ma lasciamo al lettore il gusto di scoprirli. Ci soffermiamo, però, sulla figura del Maestro, personaggio più romantico che diabolico: anima grande nel male, ma smisurata nella passione, che gli restituisce una struggente umanità, non cancellata dalla bruttezza e dalla deformità del corpo. Come spiegato nelle note conclusive, il libro ha subito un editing, invero assai ben condotto, che gli consentisse di essere appieno compreso dal lettore di oggi. Diventa inevitabile, proprio per questo motivo, una riflessione sulla narrativa contemporanea: rispettoso delle caratteristiche della scrittura dell’autrice napoletana, l’editing ha mantenuto intatto lo stile inevitabilmente datato dell’opera, eppure l’originalità della trama, la sapiente finezza psicologica con cui sono stati costruiti i personaggi, l’abilità nel maneggiare feuilleton e letteratura dosandoli in perfetto equilibrio, ci confermano le parole che Madame de Staël rivolgeva due secoli fa agli scrittori italiani. La scrittura non è solo culto della forma, compiacimento delle proprie competenze stilistiche, tecnica portata al virtuosismo; per affascinare e incantare il lettore ci vogliono soprattutto idee originali e autentico talento, come questo romanzo ben conferma.

Donatella Brusati

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