La ricreazione è finita – Dario Ferrari



Dario Ferrari
La ricreazione è finita
Sellerio
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La ricreazione è finita (Sellerio, Collana La memoria, febbraio 2023), il notevole romanzo di Dario Ferrari, io lo definirei “di formazione”, più ancora che crime, per la molteplicità delle trame sottese e delle scelte narrative. Anche se di crimini vi si narra, e di crimini di rilevanza storica. La struttura articolata e complessa, che in alcun caso risulta disagevole per il lettore, si apre con uno stile acuto e preciso delineando la figura e il momento di vita della voce narrante del romanzo: Marcello Gori, trentenne in cerca d’autore, il cui atteggiamento di precariato esistenziale (nel lavoro, nei rapporti sentimentali e interpersonali) pare l’unica scelta che egli sia in grado di portare avanti, non senza una vena di autocompiacimento. 

In questo stallo senza apparenti sbocchi, che si autogiustifica in un pigro “tirare avanti e vedere ciò che succede” si palesa, per un fortuito gioco delle circostanze, la possibilità di partecipare al concorso per un dottorato di ricerca destinato inopinatamente a tradursi nell’accesso del Nostro a un mondo colto ed esclusivo dominato dalla figura del chiarissimo prof. Raffaele Sacripanti, luminare di Italianistica e intellettuale di irraggiungibile prestigio. Sua l’assegnazione inappellabile del progetto di ricerca, accolta con sorpresa del neo dottorando: l’opera letteraria di Tito Sella, terrorista viareggino della sinistra extraparlamentare che durante gli anni di carcere aveva pubblicato studi e opere, di tale levatura da sancirne la caratura intellettuale nonché il talento di scrittore.

Di qui si apre al lettore la godibilissima quanto amara descrizione del mondo dell’ “accademia” italiana, scenario di ambizioni e vanità apparentemente illimitate, nonché delle correnti sotterranee di favori e di odi sempre sublimati in un’impeccabile schermaglia verbale che ne rappresentano, quasi, l’essenza vitale. I personaggi che ne sono protagonisti, comprimari e vittime al contempo, la gerarchia dei ruoli, dei rapporti reciproci, dei compiti e delle funzioni, svelano la profonda conoscenza che l’Autore possiede in merito. Lungi dallo stancare chi legge, lo sguardo di Marcello decifra un codice complesso e delicato, conducendo il lettore in quei corridoi, in quelle aule, in quelle conversazioni come vi fosse presente, ma al contempo restasse mero testimone di logiche di potere e di linguaggio, quasi spettatore di un acquario di fronte ai movimenti rapidi e misteriosi dei suoi residenti.

La ricerca dell’archivio personale di Sella a sorpresa coinvolge Marcello sempre più e lo conduce a Parigi, in particolare alla Biblioteca Nazionale di Francia, ufficialmente per potere consultare documenti chiave per la sua tesi, in realtà come male minore rispetto alla strettoia di scelte che il padre e la fidanzata storica insistono per fargli intraprendere. Le carte personali del Sella diventano la vera trama del lavoro di Marcello che tende sempre più a identificarsi con il soggetto del suo studio, a cercare di ricostruirne lo spirito, l’indole, le scelte, sino a spingersi a completarne l’opera.

Merito indubbio dello stile dell’Autore sono il sapiente dosaggio tra interno ed esterno, la perizia nell’accompagnare il viaggio interiore del protagonista e l’ideazione dell’ambiente in cui egli si trova a muoversi, popolato di personaggi sempre vivi e vividi, tratteggiati con una curata alternanza di registri e di toni. Appare evidente come Marcello si immerga nella biografia e nelle opere di Tito Sella per trovare conforto alla propria irresolutezza, alla propria incapacità di impegno profondo, alla rinuncia autocompiaciuta e protratta, oltre ogni soglia del plausibile. A una convinta adesione alla vita, quasi che l’estetica del “perdente” (unico tratto che lo accomuna agli amici storici di Viareggio) sia alla fine l’unica misura di autenticità. E di autocelebrativa conoscenza di sé.

Il libro accompagna il protagonista sino al punto in cui i due intrecci (quello del passato e quello del presente, entrambi segnati da un rovesciamento) in apparenza si svelano, in modo pressoché speculare dal punto di vista cronologico. Marcello compie una scelta, sotto alcuni aspetti inattesa, da un angolo visuale coerente con la sua visione del mondo e di sé stesso. A lui, come al lettore, appare però evidente che “la ricreazione è finita”. La celebre frase di Charles de Gaulle, anche citata nel testo oltre che nel titolo, assume così ben più di una sfumatura di significato.

Il romanzo, scritto con un linguaggio colto ma mai altezzoso né straniante, con una rara introspezione psicologica dei personaggi e un’accurata ricostruzione degli ambienti e delle dinamiche, rappresenta un’occasione di lettura appassionante, densa di molteplici suggestioni e di implicazioni di senso, che rimangono nell’animo del lettore anche dopo l’ultima pagina. 

Non è (né vuole essere) un’opera sul terrorismo degli anni di piombo, anzi conferma, a parere di chi scrive, un’impressione (forse superficiale ma non isolata) che in quegli anni drammatici sia accaduto qualcosa di incatturabile, che, malgrado la giusta distanza di prospettiva, ancora non si riesce compiutamente ad afferrare: lo conferma nel testo, la rapidità quasi incomprensibile e inspiegabile con cui il giovanissimo Tito e i suoi amici escono dall’alveo familiare e sociale per costituire la loro unità e il senso inarrestabile di un fato oscuro, un concatenarsi di infauste coincidenze, di dialoghi sospesi e parole non dette che finirà per sbriciolare vite destinate forse, almeno nel caso di Sella, a tutt’altro esito.

L’AUTORE

Dario Ferrari è nato a Viareggio nel 1982 e si è laureato in filosofia a Pisa, conseguendo anche un dottorato di ricerca. Insegna in un liceo romano ed è traduttore. Ha esordito nella narrativa con La quarta versione di Giuda (Mondadori, 2020).

Giusy Giulianini

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