Il campo di cipolle



Joseph wambaugh
Il campo di cipolle
einaudi
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Le cornamuse sfrenate e insistenti e il ritmo dei piedi in marcia rispondono in tono di sfida che la morte non esiste più (L’incantesimo di un suonatore di cornamusa)”. Inizia con queste parole la narrazione di Wambaugh. Un libro complesso che merita di essere preso in esame in alcuni suoi aspetti.
La trama. Tutti i romanzi ne hanno una. Eppure questo libro non ha una trama nel senso classico del termine. Il campo di cipolle racconta i fatti che hanno portato a un episodio di cronaca nera realmente accaduto e alle sue conseguenze. Bene. Parliamo allora non della trama ma dei fatti, quelli di cronaca. Usa, Los Angeles. Il 9 marzo del 1963 Greg Powell e Jimmy Smith sequestrano due poliziotti e, a freddo, ne uccidono uno. L’omicidio avviene in un campo di cipolle. I due vengono subito arrestati e confessano il reato. Il processo dura 9 anni, nel ’72 la condanna capitale tramite camera a gas viene commutata detenzione. Nel 1983 vengono rimessi in libertà. Sul versante opposto Karl, il poliziotto sopravvissuto al sequestro e al tentativo di omicidio, si trova ad affrontare le ferite psicologiche della violenza nonché le contraddizioni della giustizia Usa e umana in genere. L’opinione pubblica americana prende molto a cuore la vicenda tanto che nel ’73, un grande scrittore, J. Wambaugh, ex poliziotto dell’investigativa, ne scrive la cronaca romanzata. Negli anni ’80 arriva nei cinema anche il film, tratto dal libro. Nel 2009 è la volta dell’Italia, Einaudi lo edita nella serie Stile libero noir preceduto da un’introduzione di James Ellroy che è una vera chicca. Ma torniamo alle particolarità di questo libro.
La sorpresa. Nonostante i fatti sembrino fin troppo noti, il libro riesce, nel suo rigore, a sorprendere. Sorprende la diligenza e l’equilibrio con cui ci si prende cura dei personaggi. A tutti viene riservato lo stesso trattamento gentile ma senza sconti. Sorprende l’incisività espressiva di una scrittura trattenuta che mostra, senza suggerire, l’assurdità della follia umana e l’irreparabilità dei gesti, qualsiasi essi siano.
La compiutezza. Ecco un altro punto caratteristico del libro; non ci sono zone d’ombra, tutto viene raccontato e mostrato, tutte le carte sono allineate con ordine sul tavolo, la fantasia non ha nulla da dover aggiungere. La realtà è solida e rende infantili trucchi concettuali come l’opinabile e il relativo. Un racconto vero come possono essere veri i fatti.
L’inganno. Questo è un libro che trae in inganno perchè tutto è compiuto tranne la promessa iniziale. Questo libro t’inganna fin dalla prima pagina, con il suono delle cornamuse, con una promessa di speranza che sembra non soddisfare mai. T’inganna perchè si fa prendere sottogamba e invece è uno di quei libri che hanno la brutta abitudine di lasciare il segno. Che piaccia o no, porta a invocare una morale carica di pietas che lenisca in qualche modo la vacuità di un male ineluttabile e l’inadeguatezza di una giustizia che lo rende ancora più evidente.
Le pagine, una dopo l’altra, scorrono. Si arriva quasi in fondo a Il campo di cipolle. Nulla. Non c’è mai uno spiraglio; le pennellate di colore e d’emozione si spengono in un all grey che è la realtà stessa e ci si ritrova nell’impossibilità di dargli torto. Segnati da una tristezza infinita, con il bisogno di una fottuta briciola di speranza. Finisce davvero così?
E’ notte, mi fermo e poso il libro “vicino al punto che era stato contrassegnato con una freccia rosso sangue”.
Lascio l’ultimo capitolo per domani, il ventiduesimo.

francesca conforti

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