L’anima del Führer



Dario Fertilio
L’anima del Führer
Marsilio
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L’anima del Führer. Il vescovo Hudal e la fuga dei nazisti in Sud America

Un thriller inaspettato e molto coinvolgente per mano di Dario Fertilio, redattore delle pagine culturali del Corriere della Sera e saggista. Ben noto ai lettori, per i suoi articoli ma soprattutto per i suoi libri, con ferrea base storica, con i quali ha affrontato senza peli sulla lingua alcuni scabrosi argomenti del Novecento. E i suoi ultimi scritti si rivelano dei saggi mascherati da romanzo per affrancarsi, credo, dal tirannico dominio delle note a piè di pagina e dallo “storicamente corretto” che lega le mani allo scrittore.
Nel L’anima del Führer Fertilio narra una storia vera ma poco conosciuta e abilmente velata per anni dal politically correct, con protagonisti realmente esistiti ma che ben si adatta alla fiction servendosi di un jolly, il personaggio di un soldato russo, reduce dalla conquista della città prussiana di Königsberg, mandato a Roma come infiltrato a spiare nel Collegio Germanico e in Vaticano.
Un argomento spinoso perché tratta di quello che fu il rapporto tra Chiesa cattolica e nazionalsocialismo e dell’aiuto fornito da alcune organizzazioni cattoliche e da autorevoli prelati a gerarchi e militari tedeschi ricercati dagli alleati dopo la guerra.
L’anima del Führer è monsignor Alois Hudal, nato a Gratz nel 1885, dal 1923 rettore di Santa Maria dell’Anima e del Collegium Germanicum di Roma.
Simpatizzante di Hitler, pubblicò nel 1937 un saggio, I fondamenti del nazionalsocialismo, in cui azzardava una intesa con il cattolicesimo. Ma il suo libro, pur godendo dell’imprimatur del vescovo di Vienna, non piacque affatto alle gerarchie vaticane, preoccupate che quel tentativo di cristianizzare la dottrina di Hitler spianasse la strada alla “nazificazione” della Chiesa cattolica. Ciò nondimeno paradossalmente non piacque neppure alle ali estreme del partito nazista, che ne ottennero la messa al bando. Per quei fanatici, infatti, l’hitlerismo in sé e per sé era una religione, con il suo corteo di mitologie catare e divagazioni tardo-romantiche sul mito del Graal.
Dario Fertilio narra la storia di monsignor Hudal fra il luglio del 1943 e l’agosto del 1946, i tre anni cruciali che furono testimoni del bombardamento della capitale, della caduta del fascismo, della deportazione degli ebrei romani, dell’ingresso degli angloamericani nella Città eterna, e dell’organizzazione della “Ratline” (la via dei ratti che abbandonavano la nave che affondava), la via di fuga per tanti nazisti ricercati.
Personaggio scomodo per il Vaticano, anche prima della sconfitta dell’Asse, monsignor Hudal aveva nella sua cartella alcune buone azioni che peseranno molto nella vicenda: la salvezza di un ufficiale neozelandese e, il 16 ottobre 1943, il suo contributo, con una lettera al governatore tedesco di Roma, dettata dal nipote del papa Carlo Pacelli che provocò lo stop delle immonde razzie nel ghetto e che concesse vita e libertà a tanti ebrei romani.
Ma cosa spinse monsignor Hudal, dopo il crollo del Reich e le prime rivelazioni sui crimini nazisti, a facilitare la fuga di famosi personaggi accusati di crimini contro l’umanità? Carità cristiana, rifiuto della logica dell’occhio per occhio, consapevolezza che la giustizia umana è sempre di parte e che, specie quando è amministrata dai vincitori sulla pelle dei vinti, può sconfinare nella vendetta? Domanda che un romanzo ha il diritto ma alla quale non può e non sa rispondere.
Ma il ricordo e le immagini della folla oceanica raccolta a Norimberga ad adorare il Fürer in un orgia di nazionalsocialismo fanno paura anche oggi e dovrebbero insegnare qualcosa a tutti.

Patrizia Debicke

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