Giornalista con la schiena dritta, schierato sempre dalla parte degli ultimi, Enrico Fovanna sulle pagine del quotidiano lombardo “Il Giorno” racconta da anni di temi sociali, di immigrazione e di diritti umani. Nel ’96 esce per Baldini & Castoldi il suo primo romanzo, intitolato “Il Pesce elettrico”, dove al centro c’è il dramma del popolo curdo. Esordio col botto: due edizioni e due premi nazionali. Poi uno stop da guinness dei primati, durato 23 anni (“Mi sono preso il mio tempo, anche se qualcosa nel frattempo ho pubblicato, volevo esser sicuro di scrivere una storia all’altezza della mia prima opera e, soprattutto, che piacesse prima di tutti a me”), e nel gennaio 2020 “L’Arte sconosciuta del volo” per la Giunti di Antonio Franchini, uno dei “guru” dell’editoria italiana. Altro botto. Ancor prima di finire sugli scaffali delle librerie, tanto per capirci, quattro pagine su Sette del Corriere, e non solo. Robinson di Repubblica, tra l’altro, paragona le atmosfere del romanzo di Fovanna a quelle di Dürrenmatt. Confronto impegnativo, ma non impossibile per lo scrittore piemontese che qui, in due diversi blocchi temporali, narra la storia di Tobia, prima ragazzino in quel di Premosello Chiovenda (piccolo paese del Nord, a due passi dalla Svizzera, dove l’autore è nato), e poi medico a Milano, separato e disilluso dalla vita. In mezzo due omicidi. Sotto le vesti di un giallo di provincia, l’Arte sconosciuta del volo è in realtà un commosso, malinconico omaggio all’infanzia perduta, dove si racconta un pezzo di mondo sghembo e dolcissimo. Nelle pagine di Premosello -siamo nel 1967- il lettore prende via via confidenza con l’ambiente circostante e coi personaggi che popolano la vita di Tobia: il primo amore, l’amico del cuore, il matto del paese, il frate, eppoi le elementari, il negozietto, l’oratorio, la campagna e via così dicendo (“Temevo che qualcuno potesse riconoscersi e infastidirsi, per cui nel romanzo ho mescolato nomi e mestieri attinti dalla vita reale. Ora quando torno a Premosello dai miei genitori, alcuni compaesani mi fermano per strada e mi chiedono: io ci sono?”). Nelle pagine milanesi, invece, spazio al protagonista che, nel frattempo diventato uomo, a 50 anni decide di tornare nel paese natio per fare luce sul passato. La scrittura asciutta mescola malinconia e ironia, e i due registri si fondono dando vita ad uno stile originale e convincente, che richiama alla memoria Fabio Genovesi, Andrea De Carlo e Riccardo Gazzaniga, per citare i migliori. Intensi e reali i dialoghi, in grado di farci toccare con mano i personaggi, quasi fossero in carne e ossa dinnanzi a noi. D’altronde l’arte di volare Fovanna deve averla avuto nel suo dna sin da adolescente. Si racconta che a 15 anni o poco più, una sua recensione viene rifiutata da un giornale locale perché “troppo avanti”. Era di David Bowie, un tizio britannico che poi ha rivoluzionato per circa cinque decenni la scena pop/rock mondiale (“Adesso cercherò di non far aspettare troppo i miei lettori: il prossimo romanzo è già in fase di scrittura avanzata. Sarà molto diverso da questo e dal precedente”). Se fosse una canzone il romanzo di Fovanna suonerebbe come “Mi manca” di Bugo ed Ermal Meta, se fosse un film avrebbe le atmosfere dell’ultimo Gabriele Muccino (“Gli anni più belli”). Voto: 8.
Enrico Fovanna – L’arte sconosciuta del volo
Alessandro Garavaldi