Sacha Naspini è un abile costruttore di trame che utilizza gli strumenti della narrativa di genere senza rinunciare a fare letteratura. La sua bravura cresce romanzo dopo romanzo conferendo un’impronta stilistica alle sue pagine e ai caratteri dei personaggi, quasi sempre marginali, sconfitti, delusi da una vita che tradisce i sogni. Le nostre assenze è una storia raccontata in prima persona dal protagonista, quasi un romanzo di formazione che segue la crescita di un bambino in mezzo alle difficoltà di un’esistenza vissuta a contatto con un’umanità degradata. L’amicizia con Michele, l’infanzia passata a giocare con cerbottane e fucili a gommini in una provincia depressa, tra Buca delle Fate e Follonica, senza un padre, con una madre incapace di svolgere il proprio ruolo e una nonna che tenta di colmare le troppe assenze. Il figlio di un tombarolo cresce con il sogno di scoprire una tomba etrusca piena di tesori per dimostrare di essere più bravo del padre, ma quando accade davvero finisce tragicamente l’amicizia con Michele e muore il rapporto con il genitore. Non possiamo raccontare altro di una trama complessa che si snoda tra la Maremma Toscana e l’America, che vede un figlio alla ricerca del padre e della sua vendetta, entrambi uniti dal ricordo e dal segreto di un tradimento. Una vita che è caratterizzata da “solitudine, elemosina e spazzatura”, un’esistenza “tra pastori ignoranti che puzzano di letame come l’aria, impestata dal rigurgito continuo dei soffioni boraciferi che non si fermano neanche un giorno all’anno”, una sofferenza continua nel rimorso per la morte di Michele, sepolto da una valanga di terra. Il ragazzo cresce tra l’amore per il pugilato, sport ideale per sfogare la rabbia repressa, per Sara, secca, bruttina e malaticcia, per i romanzi che prende a prestito in biblioteca e legge di nascosto durante la notte. E poi l’America, un luogo a lungo sognato e infine raggiunto a bordo di una nave, un posto dove fare i conti con il passato e finire per perdere il proprio futuro. Le nostre assenze è strutturato come una sceneggiatura cinematografica, narrativa allo stato puro, costruita con la tecnica del feuilleton noir, dove l’autore dissemina indizi, getta i fili di trame e sottotrame per ricongiungerli in un finale imprevedibile. La dote migliore di Sacha Naspini è uno stile, chirurgico, lineare e coinvolgente da consumato narratore, affabulatore di storie che raccoglie e ricompone con tecnica sopraffina. Naspini è l’esatto contrario del narratore italiano alla De Carlo che da anni ricicla la medesima storia cambiando il titolo e poche situazioni di contorno. Notiamo alcune similitudini con l’Ammanniti di Io non ho paura, ma in ogni caso Naspini conferisce alla storia un taglio molto originale. Un solo dubbio accompagna la lettura: l’autore mette molta carne al fuoco, un altro scrittore avrebbe avuto materiale per almeno tre romanzi, vista l’abbondanza di eventi e sottotrame. Non accadranno troppe cose nel breve volgere di duecento pagine scarse? In ogni caso Sacha Naspini si conferma una promessa della narrativa contemporanea e vista la grande capacità di raccontare storie per immagini, crediamo che abbia davanti a sé una carriera come sceneggiatore.
Le nostre assenze
Gordiano Lupi