Una buona abitudine di chi scrive un romanzo giallo è quella di dare in pasto ai lettori un bel cadavere già nelle primissime pagine. In questo libro il cadavere compare già nel titolo e, a partire dal ritrovamento del corpo della protagonista, la trama si dipana in due direzioni. Una segue il cadavere, le indagini e gli eventi che in qualche modo lo riguardano, quel corpo una volta vivo e l’altra invece è rappresentata dalla biografia della vittima vista attraverso l’occhio spietato del suo autore.
Sì, perché la protagonista è un personaggio strano, respingente che pur non attirando le simpatie e l’empatia del lettore permette di rivivere una quarantina d’anni di storia italiana divisa tra l’infanzia in Sardegna, a Cagliari e l’adolescenza e la maturità in Toscana, a Pistoia.
Efisia nasce come una sciagura, provocando alla madre un travaglio lunghissimo e doloroso interrotto dal forcipe che la estrae a forza dal ventre e dal medico che, credendo la bambina morta, la butta avvolta in uno straccio su una poltrona.
Un ingresso da grande diva non lo è, in effetti. E poi Efisia è brutta e, va beh, può succedere, ma è anche priva di dolcezza, di sensibilità e di quella semplice simpatia che aiuta a stare al mondo.
È piena di complessi a causa del suo corpo sgraziato e rotondo, con il grasso che si fa generoso sul suo seno, la sua pancia e i suoi fianchi e che la rende ancora più impacciata e disadatta, timida e vergognosa come se l’adipe fosse uno sbarramento che la separa dai suoi simili. Efisia Caddozzu ci presenta quindi il suo mondo, a suo modo, ovviamente, composto inizialmente da strani personaggi che sono i suoi parenti, la sua famiglia.
Un piccolo ecosistema fragilissimo governato da leggi speciali e dettami fioriti in una lingua magnifica e tagliente come può esserlo il dialetto sardo e il campidanese per quanto ci riguarda. Una lingua che porta il lettore a suoni ed espressioni di un altro mondo – è il caso di dirlo – ma che a volte sembra anche di un altro tempo, lontano, nel passato. E poi ci sono quei personaggi che quell’ecosistema lo popolano come la nonna le cui affermazioni deflagrano come bombe lasciando sul terreno morti e feriti; o la zia comunista, destinata alle fiamme dell’inferno non si sa se per la sua fede politica, per la convivenza con il fidanzato che non ha sposato o forse per nessuno di questi due motivi: forse l’inferno l’attende semplicemente perché ha studiato all’università. E chi può dirlo? Tutto è distorto come se la realtà venisse filtrata e cambiata da uno strano e contorto caleidoscopio.
Ma la Sardegna a un certo punto dovrà essere abbandonata. Il padre di Efisia ha chiesto e ottenuto un trasferimento in Toscana e ci si appresta a lasciare l’isola e a riparare in “continente” come se il Mediterraneo fosse un vasto e periglioso oceano da attraversare.
Efisia con la sua timidezza e il suo corpo sgraziato si trova a Pistoia, a crescere, a fare qualche amicizia, a vivere la vita di quegli anni come una ragazza qualunque della sua età: lo studio, i primi turbamenti amorosi, l’impegno nella politica, nello studio prima, nel lavoro e nel volontariato poi.
E il lettore si ritrova così, insieme a lei, a rivivere quegli anni della storia pistoiese e italiana in ambientazioni vere e riconoscibili. Ma quella lente deformata con la quale la sua famiglia osserva lo strano mondo che la circonda, le è rimasta appiccicata addosso e il suo carattere è sempre quello, critico, difficile, duro, spigoloso. Non c’è letizia nella sua vita, tutta improntata al dovere con poche, rarissime e discutibili concessioni.
Non cede alla lusinga di una confidenza o di una buona parola con i vicini.
Vive in un mondo del quale, in un certo senso, non riesce a far parte, come se fosse lei stessa una contraddizione vivente, vittima e carnefice di basse ipocrisie, feroci ironie. Sarà questa contraddizione allora a farla finire, lei, maestra elementare dedita al padre invalido e al volontariato, morta ammazzata su una strada di provincia vestita e truccata come una prostituta?
L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu
Elena Zucconi