Maurice Debar torna a raccontarci il suo girare schizofrenico in compagnia dell’amico Bams, incominciato nelle pagine di Vita dura per le canaglie. La guerra è nel suo ultimo anno di vita, i tedeschi più padroni che mai della Francia e i francesi occupati agiscono come meglio la paura comanda. Maurice e il sodale hanno sempre il compito di impossessarsi delle informazioni sulle installazioni tedesche da far pervenire alla Resistenza. Ma il loro cammino è una collezione via via più completa di figurine macabre. Uomini e donne a cui offrono in dono il confetto di una morte uscita dalle loro Luger e Colt.
Maurice e Bams non sono animati dal sacro fuoco dell’ideale, ma hanno dentro una cenere che scotta ancora di più. Vogliono sopravvivere. E la carta che hanno in tasca per arrivare alla meta impone loro di scappare, vivere da braccati, snodare le più folli situazioni sperando che i propri nervi pensino meglio del cervello. E di uccidere. Non sono assassini nati, ma ci riescono con una facilità impressionante. E si lasciano dietro montagne di morti. Hanno paura, hanno fame, tremano “di fronte allo sguardo equivoco di un passante inoffensivo”. Ma sono molle caricate a mille e di conseguenza così devono agire. Pur sapendo che sono i morti nelle proprie fila il bottino più ambito dai generali e che alla fine (se una fine sarà concessa loro di vedere) tutto tornerà come se niente fosse successo. Perché non è mica vero che se si cade si cade. Cadere in piedi è un’arte che la società non finirà mai di apprezzare.
Il festival dei cadaveri è, con il volume che lo precede, la sinfonia sull’uomo di André Héléna. La sua personale Comédie humaine in pieno sonno della ragione (che non termina con la fine del conflitto bellico), la Recherche che urla dolore e che torna ad avere memoria dell’esistenza grazie a infiniti bicchieri di pastis. È il muoversi drogato di un uomo che si sente leone, ma si è messo a fare il topo. “Al festival dei cadaveri c’era un nuovo partecipante, a quello delle carogne uno in meno. È questa che chiamano pace”, riflette Maurice dopo l’ennesimo ammazzamento.
Héléna continuerà anche a essere un autore di culto, un “romanziere da carcere”. Ma quei pochi che non si perdono una pagina, uh come se la godono.
P.S.: Il volume è impreziosito da un breve ma appassionato saggio iniziale “In difesa del romanzo noir” scritto dallo stesso autore. A buon intenditor…