Libertà di migrare.



Valerio Calzolaio, Telmo Pievani
Libertà di migrare.
Einaudi
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Le specie umane hanno cominciato a migrare più di due milioni di anni fa.
Prima hanno cominciato a farlo in Africa, visto che l’origine africana delle specie umana è incontrovertibile. I nostri progenitori provenivano tutti da là e ognuno di noi porta nei propri geni le tracce di un qualche ignoto ominide africano. Poi, dopo svariati millenni di migrazioni fino all’ultima Out of Africa (la terza se ricordo bene) sono risaliti lungo la direttrice mediorientale dilagando ovunque a nord e a est fino ad arrivare agli estremi confini dell’Asia e raggiungere la Cina.
Con il risultato che il quadro della popolazione umana si è imbastardito ma anche arricchito tra fughe, ondate senza meta in ogni direzione, convivenze che hanno portato a incroci o meglio a ibridazioni tra diverse specie umane, cugine tra loro. Con i Neanderthal, tanto per fare un esempio, poi scomparsi per esaurimento? Perché meno resistenti, prolifici o altro? I nostri più robusti progenitori si sono suddivisi e sovrapposti in successivi, diversi flussi migratori e magari conflitti esistenziali tra le diverse specie più forti? Battagliere? Crudeli? Fino a raggiungere lo stadio finale di Homo Sapiens.
Nel frattempo il loro cervello era cresciuto e con esso la capacità di adattarsi, di imparare, di sviluppare un linguaggio e la volontà di muoversi per scoprire altre migliori terreni di caccia o magari terre da coltivare in almeno tre continenti del pianeta. Da dove saltava fuori quell’impulso, insomma quel “pizzicorino” di vedere se si stava meglio ad di là della collina davanti alla capanna?
E il clima? Le terribili catastrofi climatiche che hanno caratterizzato i passati millenni? Quanto il clima ha contato, allora e dopo, nella capacità umana di vivere e di adattarsi a un territorio? Secondo quanto Darwin avanzava nel 1800 la migrazione si realizzò nel mutevole contesto del pianeta di allora, in preda a continui sconvolgimenti climatici epocali, attraverso il “fiume della vita”. La mobilità della specie si sarebbe evoluta seguendo la sua capacità di adattarsi, migrare e fuggire per riprodursi.
Ma da “ieri l’altro” il nostro oggi, con il fenomeno migratorio è diventato un problema sociale totale.
Dal dicembre del 1948 la Dichiarazione di Diritti umani contempla il diritto alla libertà di movimento. Il primo comma dell’Articolo 13 dichiara che ciascuno ha il diritto di muoversi e risiedere entro i confini del proprio stato. Il secondo comma precisa che ciascuno ha il diritto di partire e diritto di restare. Diritti umani in patria libertà di migrare altrove.
Diritto di restare, sì certo, ma chi non ha potuto farlo? E poi ha viaggiato e sofferto attraverso paesi a dir bene poco ospitali? Oggi magari l’Europa spera che qualcuno riesca a fermarli in qualsiasi modo prima che possano arrivare… Come? E comunque tutti quelli che sono arrivati vanno aiutati, perché anche se sono migranti “economici”, hanno esercitato quel diritto alla libertà di migrare prevista nella Dichiarazione Universale. Se il sogno di alcuni, uomini e stati, si realizzasse e tutti i paesi ricchi chiudessero le frontiere? Ahi, dite. E no! Nossignore, ma allora che si fa? Bisogna chiarire cosa vuol dire libertà di migrare e trovare il modo di accollarsi una migrazione sostenibile?
Soluzioni facili e veloci non esistono. Ci vorranno tempo e decisione. Anche perché e lo sappiamo tutti, nessuno che riesce a vivere decorosamente in patria affronterebbe l’incubo di certi viaggi. Quindi l’unica soluzione decente sarebbe: trovare il modo di aiutarli a casa loro. Ma se a casa loro ci sono fame, carestia guerre???
E come rende bene vendere armi ai paesi in guerra. Quanti africani fuggono dopo aver provato sulla pelle dei loro cari le armi vendute da aziende europee che hanno violato l’embargo?
L’articolo dopo, il 13, parla di diritto d’asilo…
Proviamo a porci per un attimo di fronte all’estremizzazione del problema: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre 2015 ha approvato i nuovi «obiettivi del Millennio» e tra essi è implicita la lotta alle migrazioni forzate.
Manca ancora il riconoscimento dello status di «rifugiati climatici»: ma se le precauzioni stabilite nel protocollo di Kyoto, firmato da tutti i pesi civilizzati, non riuscissero a controllare e modificare i temuti cambiamenti climatici del pianeta, questi potrebbero mettere in fuga dalle loro case almeno duecento milioni di donne e uomini entro il 2030.

Patrizia Debicke

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