L’ultimo sopravvissuto



Sam Plivnik
L’ultimo sopravvissuto
Newton Compton
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Piccolo richiamo alla Newton Compton: tre loro libri usciti di recente e in uscita con “sopravvissuto” nel titolo stanno confondendo un po’ le idee a tutti.
Mi pare però che per “Martian” abbiano provveduto e li ringrazio.
Questa biografia: L’ultimo sopravvissuto di Sam Pivnik è la storia anzi l’inedita testimonianza di un tredicenne ebreo polacco che sopravvisse fortunosamente agli orrori dell’Olocausto.
È la vera storia, mai raccontata prima, di uno degli ultimi testimoni diretti della Shoah, che narra il suo infinito calvario dalle rampe dei treni di Auschwitz, i gironi dell’inferno del lager, alla “marcia della morte”, ai bombardamenti degli Alleati in mare…
Una storia vera con particolari minuziosi per un libro ricco di significati, crudo, anzi tanto crudele che lascia spesso senza fiato. Minuziosa testimonianza di uno degli ultimi (per ragioni anagrafiche) sopravvissuti ad Auschwitz-Birkenau… Piccola pecca: alcuni refusi, forse dovuti alla fretta di fare?
Se leggerete L’ultimo sopravvissuto vi renderete conto, come ho fatto io, che la realtà di Pivnik era talmente spaventosa da non sembrare vera e invece… non era una fiction.
Nato a Bedzin nel 1926, Sam Pivnik, figlio di uno stimato sarto ebreo, fu deportato nel 1943 con la sua famiglia, madre, padre e fratelli, nel famigerato campo di sterminio. Ben presto i suoi cari finirono i loro giorni nelle camere a gas, mentre per lui cominciava un’incredibile ed estenuante lotta per la sopravvivenza tra gli orrori del lager.
Pivnik, con la matricola 135913, tatuata sul braccio, fu assegnato al cosiddetto Rampkommando, la squadra di prigionieri che doveva mettere in posizione le passerelle per far scendere dai treni i nuovi arrivati. Questo compito gli consentì di procurarsi cibo e roba da scambiare con i i bagagli dei passeggeri. Per un breve periodo, contagiato dal tifo, fu ricoverato nell’infermeria del campo, riuscendo miracolosamente a superare le famose selezioni di Auschwitz.
Appena guarito e rimesso in piedi, fu spedito ai lavori forzati nella miniera di carbone di Fürstengrube, sempre nel complesso di Auschwitz/Birkenau. Ma, nel gennaio del 1945 all’avvicinarsi dell’Armata Rossa quando il campo fu evacuato, dovette intraprendere la “marcia della morte” che vide circa 80.000 prigionieri obbligati ad una terribile avanzata nel gelido inverno polacco in direzione di Wodzislaw (a una cinquantina di chilometri di distanza), per poi essere caricati su treni trasporto merci e spediti a destinazione. Circa 15.000 prigionieri non ce la fecero e furono finiti dai soldati della scorta, lungo la strada con un colpo alla nuca. Sam Pivnik, scampato alla carneficina, fu imbarcato sulla nave tedesca Cap Arcona, bombardata e affondata dalla Royal Air Force perché luogo di esperimenti dei nazisti su donne e bambini da parte delle SS. Ma ancora una volta, miracolosamente riuscì a salvarsi a nuoto.
Alla fine della guerra si trasferì a Londra, dove vive tuttora collaborando con varie associazioni di sopravvissuti alla Shoah.
Nella sua diretta e toccante testimonianza Sam Pivnik, con straordinaria memoria, riferisce  quanto accaduto senza lesinare nei particolari e con imparziale freddezza. I fatti sono descritti senza fronzoli, la narrazione evidenzia ancora la sua gran rabbia nei confronti dei nazisti criminali che realizzarono tanti abomini, ma anche il convincimento che i veri responsabili di tutto ciò che accadde sono anche da ricercare nelle persone comuni, che nella loro colpevole o cieca ignoranza chiusero gli occhi o acconsentirono al genocidio, per ricavarne vantaggio personale.
Libro da leggere per non dimenticare un orrore indicibile che non dovrà mai più accadere.

Patrizia Debicke

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