Le cene eleganti



piero colaprico
Le cene eleganti
feltrinelli
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Silvio, Emilio, Lele, Ruby e le sue sorelle. Tante sorelle. Tantissime, fresche, giovani, pronte per essere riempite dal drago e saziate con buste gonfie, appartamenti, macchine e monili fatti goffamente passare per alta gioielleria. Il copione è da basso impero, ma è quello che questo nostro paese in questi tempi ci può dare. No, non è vero. Questo nostro paese è molto meglio del teatrino che lo rappresenta. Ma i tempi, quelli non li può modificare nessuno. Veronica, la Signora del drago ci aveva messo in guardia. Guardate che è malato, aiutatelo. Io con lui ci ho fatto anche dei figli, ma quelli sono stati il prodotto di una cosa chiamata amore. Ora, Bennato si volti da una parte, “si dice amore, però no, chiamarlo amore non si può”.

Ci aspettavamo un bel romanzo noir confezionato col talento che ha dimostrato anche dopo aver mandato in pensione il suo Pietro Binda. Ci troviamo invece, come l’autore stesso scrive, una “tragedia con monologo e coro”. E non che il nero manchi ne Le cene eleganti. Ma Piero Colaprico ha tolto il sangue. C’è solo il nero in questo impazzito travelogue la cui sostanza soltanto una popolazione drogata, come lo siamo noi italiani, può registrare come normale, ordinaria, addirittura noiosa se da qualche settimana presente sulle pagine dei giornali. Colaprico ricompone e svela un racconto simile a quello che i fanatici musulmani fanno ai poveretti che immolano la propria vita consci di garantirsi un eterno bunga bunga. Con la differenza che qui parlano tutti italiano e di religioso c’è solo la trasmutazione in dio in minore del piccolo ma potente uomo che nel bel mezzo dell’amplesso è solito fare una capatina in bagno.

A rompere l’armonia di cene con serate senza fondo, una donna coi capelli rossi e qualche anno sulle spalle. Contro cui il fuoco del drago è già partito. Ma che per le decine e decine di milioni di italiani ancora non anestetizzati è la voce di una coscienza è capace di far sentire il suono di una dignità umana che non si può comprare. Perché servire la democrazia è così normale da apparire il gesto più rivoluzionario che ci possiamo concedere.

corrado ori tanzi

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