É arrivato l’autunno, l’ultima stagione della quadrilogia che Maurizio de Giovanni dedica a Luigi Alfredo Ricciardi, commissario della Regia Questura di Napoli. É la settimana che precede il giorno dei morti del 1931, il cadavere di un bambino é rinvenuto sullo scalone monumentale di Capodimonte, un cane lo veglia a poca distanza e “invita” a scoprire la verità. Supportato dal brigadiere Maione ed in una città in pieni preparativi e divieti per l’imminente visita di Mussolini, Ricciardi, si addentra nei quartieri di Napoli percorsi dalla piccola vittima, indaga e si lascia a dare a ricordi e dilemmi personali e da “uomo destinato a camminare nel dolore” coglie quello del piccolo Matteo e di chi lo ha ucciso.
In autunno comincia il primo freddo, col “freddo i delitti vanno in letargo”?
E’ una vana speranza di Maione e di Ricciardi: in realtà le passioni cambiano, si rimodulano ma non spariscono. Siccome sono le passioni le genitrici dei delitti, anche il freddo ha in sé le motivazioni di nuovi orrori.
Il tempo atmosferico influisce sui personaggi e li caratterizza. Napoli é bagnata dalla pioggia e i loro visi sono rigati dalle lacrime?
Il pianto costante, evidente o meno che sia, deriva dalla percezione del dolore proprio e altrui. La pioggia diventa una metafora dell’espressione del dolore, sottolineando con la propria costante presenza la condizione di disperata solitudine degli emarginati e degli scugnizzi.
La solitudine del randagio lo accomuna a Ricciardi?
Sì. Il randagio è molto simile a Ricciardi, come lui assiste dall’interno alla frenesia del mondo attorno ma in modo quasi distante, come se fosse uno spettatore addolorato. Ho molto amato questo cane, sono fortemente tentato di non “abbandonarlo” e di farlo ritrovare tra i personaggi fissi della storia di Ricciardi.