Cormac McCarthy è uno che sa scrivere. Questo è indubbio, i suoi dialoghi sopratutto sono un portento: efficaci, veri, precisi mi verrebbe da dire.
Questo romanzo, però, non mi ha convinto del tutto. Certo ora che i fratelli Coen hanno vinto quattro Oscar con il film tratto da questo libro le vendite subiranno un’impennata e forse non è un male: piuttosto che la gente legga certi libri da tre metri sopra e sotto è meglio leggere McCarthy che sta comunque sempre tre spanne sopra…
Io non ho ancora visto il film, mi aspetto che sia buono (indipendentemente dai premi) perché il libro è scritto come (o appunto per essere) una sceneggiatura. E’ molto visivo (le inquadrature sono già pronte) se mi passate il termine, e i tre protagonisti principali, specialmente l’assassino psicopatico, si prestano alla grande per la traduzione cinematografica.
Il romanzo all’inizio scorre, è leggibile, ed è molto godibile fino a metà. Poi rallenta e si perde, a mio avviso, nel finale. Il ritmo cala e tutte quelle belle promesse iniziali svaniscono. Non mi sono piaciuti gli eccessivi monologhi dello sceriffo Bell né certe digressioni che con la storia narrata c’entravano poco.
Mi sarei aspettato un finale diverso, forse più all’americana d’accordo, ma visto il tono iniziale del romanzo credo che questa mia aspettativa fosse legittima.
Affascinanti le figure del cattivone e del fuggitivo che forse avrei valorizzato di più. Ma qui, probabilmente, non siamo più nell’ambito della critica letteraria bensì del de gustibus…