Ogni storia ha un ritmo diverso. Intervista a Aldo Pagano, Caramelle dai conosciuti.


Aldo Pagano, in libreria con Caramelle dai conosciuti, Piemme, terza avventura di Emma Bonsanti, ha cortesemente accettato di rispondere a qualche nostra domanda.
C’è sempre un perché? alla base di ogni libro, qual è quello da cui è nata l’idea di Caramelle dai conosciuti?
Dunque. L’idea scaturisce da una considerazione di Isaiah Berlin a proposito della debolezza della ragione come strumento per modificare il comportamento degli individui. Tutto ciò che è razionale, scriveva, si distrugge perché è fatto dall’uomo; solo ciò che è misterioso resiste perché inattaccabile dalla ragione. In altre parole, non è la logica che fa agire l’uomo ma la passione, detto nobilmente, o la pancia, in termini volgari. Siccome a me pare di essere al centro di un’epoca che è anche una tempesta perfetta antiscientifica contro ogni forma di competenza – e qui non posso che citare il testo fondamentale di Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici – ho approfondito in questo romanzo gli stratagemmi usati da coloro che con logica e consapevolezza creano e manipolano la mancanza di logica e consapevolezza di chi non ha strumenti per interpretare la realtà. In qualche modo, sono queste le caramelle dai conosciuti. 

Il libro è ambientato nel quartiere Libertà di Bari. E’ un simbolo di altre realtà solo del sud o c’è un quartiere libertà in ogni città d’Italia?
C’è un Libertà in ogni città italiana, secondo me. Sono i quartieri del disagio sociale, partoriti da un sistema economico che è il nostro, liberista, e dimenticati dalle istituzioni, che poi in fondo siamo noi perché non è vero che il popolo sia meglio delle istituzioni. Sono i quartieri che la sinistra non sa più leggere e che la destra usa come terreno fertile per le sue campagne di odio, criminalizzando il migrante per impedirne l’integrazione e esibendo di volta in volta un capro espiatorio che funga da rapida risposta a domande complesse. Sono i quartieri che negli ultimi sette, otto anni sono stati al centro di finte emergenze sconfinate in atti xenofobi e montate artatamente da certa stampa e certa politica.

Sei uno dei primi autori che ha deciso di ambientare la sua storia durante la pandemia, non ti ha spaventato l’idea di raccontare qualcosa da cui non abbiamo ancora il distacco necessario che permetterebbe un’analisi più oggettiva? Era necessario per la trama?
Intanto, voglio tranquillizzare lettrici e lettori: questo non è un romanzo sulla pandemia. Non ho la competenza tecnica per trattare l’argomento, come del resto la quasi totalità delle persone che pure ne parlano, e credo che covid sia una faccenda tanto incredibilmente grande e ancora misteriosa che, a parte poche voci geniali – e penso a Genna o a Bracconi –, sia patetico e giusto un filo presuntuoso costruire già un testo su qualcosa che è tuttora in evoluzione. Ho ambientato Caramelle dai conosciuti durante la pandemia perché avevo cominciato a scriverlo da poche settimane e mi sembrava utile alla narrazione introdurre, accanto al virus metaforico del razzismo, anche quello reale di covid. Perché il maggio dello scorso anno, il periodo in cui si svolge il romanzo, corrisponde sì al momento in cui cadono una serie di divieti, puoi abbandonare il confinamento e riconquistare quote di libertà, ma contestualmente lasci casa tua, una zona di conforto in cui difficilmente il virus può raggiungerti, per andare in strada a recuperare una parvenza di normalità che tuttavia può essere rischiosa. Insomma, uno stato di sospensione fra ansia e attesa utile per il romanzo. Detto questo, ripeto, covid e mascherine restano comunque in secondo piano.

Si dice fare di necessità virtù, ma qui sembra che si faccia di necessità un mezzo anche e soprattutto di propaganda.
Sì. Come accennavo prima, il sistema liberista coltiva lo stato di necessità delle persone perché nello stato di necessità non sei libero e sei portato a accettare le peggiori umiliazioni arrecate, per esempio, ai diritti e alla dignità del lavoro. Dopodiché, in una situazione di disagio è molto più facile che attecchisca la propaganda piuttosto che una proposta politica; che agisca la pancia e l’irragionevole delle persone anziché la logica e la ragione. Niente di nuovo, in fondo, a parte l’uso spietato della tecnologia attraverso cui si domina anche il nostro privato. 

Alimentare l’odio, il razzismo verso l’altro è storicamente un mezzo per sviare l’attenzione dai problemi interni. Perché ancora non riusciamo a capire questo meccanismo usato da secoli da chi è al potere?
Perché abbiamo man mano eretto un monumento all’ignoranza anziché comprenderla e cercare la strada della conoscenza. Perché siamo fragili e abbiamo bisogno di credere alle menzogne che ci raccontiamo e che ci raccontano pur di cancellare questa nostra fragilità. E perché, come sosteneva Berlin, non è con la ragione che puoi modificare il comportamento individuale. La speranza, se proviamo a essere ottimisti, è che siano potenziati gli investimenti sulla formazione e sull’istruzione in maniera che, fra qualche generazione, le cose siano cambiate. Ma è una speranza, appunto.

Emma Bonsanti, donna dalle mille sfaccettature. Quanto è difficile entrare nella testa di una donna e descriverla così intimamente?
Tanto difficile. Tuttavia. A ogni romanzo credo di entrare più agevolmente in lei, dopo aver scrostato all’inizio un po’ di ruggine maschile dalle dinamiche del personaggio. Per riuscirci, faccio riferimento alla mia parte femminile ma soprattutto conto sulle lunghissime conversazioni con amiche e consulenti, donne favolose consapevoli di trovarsi di fronte un maniaco del dettaglio che porterà in pagina le loro confidenze. Un aiuto decisivo, infine, me lo dà direttamente Emma, la quale in qualche caso si rifiuta di partecipare a azioni o dialoghi che non condivide. 

Hai sempre lo sguardo rivolto ai giovani, alle loro difficoltà di trovare un ruolo, di farsi accettare. Quanto stanno pagando gli errori delle generazioni precedenti? E quali sono secondo te le colpe di questa società nei loro confronti?
Stanno pagando, sia materialmente con i debiti che noi gli stiamo lasciando per il loro futuro, sia psicologicamente con l’assenza e la mancanza di autorevolezza degli adulti. Un prezzo altissimo. Prima di scrivere il romanzo precedente, ho intervistato decine di ragazzi in tutta Italia e ho grande fiducia in loro, tanto da augurarmi che riescano a tenerci lontano e camminino da soli, perché peggio di come gli abbiamo segnato la strada noi non potranno fare. Pagano, i giovani, la nostra scelta di costruire o accettare una società – quella occidentale – che è un deserto di individualismo nel mezzo del quale la nostra generazione ha scelto di liberarsi di qualsiasi responsabilità per pensare serenamente al proprio piccolo interesse, al proprio agio a scapito degli altri, a cominciare dai propri figli. Esistono le eccezioni, è chiaro, ma l’orientamento del nostro modello porta alla polverizzazione di qualsiasi comunità solidale e alla competizione selvaggia. Non so quanto si possa continuare lungo questa china.

Sei al terzo libro con protagonista Emma e ogni volta usi uno stile narrativo diverso. Si tratta di un processo naturale, di una scrittura in evoluzione che matura e si affina o di una esigenza narrativa, perché ogni storia ha la sua lingua e un suo ritmo?
Beh, intanto è bello parlare con te perché davvero non ti sfugge niente, entri dentro le pagine come poche persone. Poi, è un po’ tutte e due lo cose, sia un’esigenza narrativa sia una scrittura che cambia perché maturano i personaggi e il loro autore. Da una parte, il tentativo è di tenere lo stesso registro con i protagonisti che i lettori ormai conoscono e mantenerli diversi fra loro. Visto il tempo che impiego nello studio del parlato, per esempio, mi fa molto piacere quando si dice che si nota la differenza di età, cultura e estrazione sociale fra personaggi. Ma, dall’altra parte, è secondo me naturale che cambi stile e scrittura a seconda della storia che scrivi; in qualche modo è la storia stessa che dà timbro e ritmo diverso, se si svolge prevalentemente all’interno di un liceo, per dire, o fra le strade di una periferia disagiata.

In Caramelle dai conosciuti ogni tanto ci sono brevi frasi in cui tu, il narratore onnisciente, fai la tua comparsa, ti intrufoli per commentare o sottolineare, come mai questa scelta?
È una scelta che nel suo piccolo è nata proprio per sottolineare, come dire, la pacifica normalità di un determinato fatto, e che poi mi è sembrata efficace e si è allargata a altri ambiti. Nel senso che è vero, il narratore non si intrufola nelle storie che racconta dal momento che il suo compito non è dare risposte e certezze, ma disegnare una cornice dentro la quale semina dubbi e domande. Quindi. Se si intrufola con un commento è per qualcosa di ormai assodato, tipo le poche regole del gioco democratico che tutti dobbiamo accettare e cioè i due o tre gradini che l’uomo ha superato lungo la scala della civiltà. Nel caso specifico parlo dell’atteggiamento nei confronti del razzismo e del complottismo che sposa il negazionismo. Il narratore pone domande e dubbi sul perché si creino sacche di razzismo e complottismo, per dire, sul perché e il come un certo sistema economico le gonfi a arte, queste sacche, e semini ignoranza per continuare a comandare, ma certamente non ha domande sul fatto che il razzismo e il negazionismo siano esattamente la risposta attesa da questo sistema e quindi una risposta sbagliata. Ne è talmente certo, il narratore, che si intrufola nel racconto e lo dice. Serenamente.

Sei siciliano, come mai hai scelto la Puglia per le tue storie?
Perché a Bari ho trascorso gli anni dell’adolescenza, quelli secondo me decisivi nella formazione dell’individuo – e in qualche misura questa vale pure come aggiunta alla tua domanda di prima sul mio sguardo rivolto ai ragazzi. Perché fra Castel del Monte, cattedrale di Trani e Bari Vecchia è lì che ho cominciato a edificare il triangolo mistico dell’ateo che sono. E poi perché sono legato a Bari in modo viscerale dato che rappresenta per me la linea di confine fra un periodo di grandi errori rimediabili e, subito dopo, la fine drammatica dell’innocenza e la materializzazione di quella che è la tragedia della vita. E così, forse, scelgo il conforto di una città che porto nel cuore per combattere l’angoscia dell’esistenza contemporanea con l’energia sconfinata di quegli anni.

MilanoNera ringrazia Aldo Pagano per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a Caramelle dai conosciuti


Aldo Pagano sarà uno degli ospiti di Non solo Giallo di sera a Ortona, il festival letterario con la direzione di Romano De Marco che si svolgerà in presenza a Ortona (Ch) dal 3 all’11 luglio.
Tutte le info e il programma qui

Numero unico prenotazioni per partecipare agli eventi
373 3444333

Cristina Aicardi

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