E trentuno con la morte – Giulio Leoni



Giulio Leoni
E trentuno con la morte
TEA
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Gabriele D’Annunzio, uomo assai vanitoso oltre che celebre poeta, non si è accontentato della facile gloria letteraria ma, preso dal desiderio di costruire la propria vita come un’opera d’arte (in effetti la sua opera più riuscita) ha voluto dimostrare di essere un valoroso combattente, un uomo che sfidava la morte armato, più che di baionetta, della propria rutilante magniloquenza. Nacque così l’impresa di Fiume, la reggenza del Quarnaro, di cui il divino Gabriele, il Vate d’Italia come vezzosamente amava essere appellato, era il Comandante e la Guida (usiamo le maiuscole perché il Poeta amava la retorica e l’esagerazione in ogni campo). La reggenza italiana del Carnaro, infatti, fu un’entità statale provvisoria proclamata nel 1920 da D’Annunzio, che aveva occupato la città di Fiume con un gesto a suo dire patriottico, ma ribelle allo stato italiano, il quale nel dicembre di quello stesso anno impose al Vate la resa. La storia ha derubricato il clamoroso gesto di D’Annunzio a uno dei tanti tentativi irredentisti che fervevano in Europa nel primo dopoguerra, ma il Poeta e i suoi arditi erano convinti di star costruendo il destino  della futura Europa (e forse sarebbe stato meno catastrofico rispetto a quello che un imbianchino austriaco con la sua accolita stava cominciando a partorire). Giulio Leoni costruisce il suo giallo partendo dallo spirito rivoluzionario, o meglio incendiario, che in quegli anni così caotici si era diffuso soprattutto tra la gioventù. Nella letteratura e nell’arte sono gli anni in cui si afferma il Futurismo fondato da Marinetti, che sostiene con enfasi come la guerra sia la sola igiene del mondo, tutte le biblioteche vadano bruciate, tutta la cultura passatista vada cancellata, prendendosela perfino con la pasta che, per questi ardenti iconoclasti, dovrà essere sostituita dal riso, più innovatore e trasgressivo dei datati spaghetti. Insomma, ai giovani futuristi prudevano le mani, desiderosi com’erano di cambiare la società tradizionale a botte e manganellate (e anche in questo caso, qualche anno dopo di loro, un uomo convinto di essere l’ inviato della Provvidenza ha usato proprio il manganello come emblema della sua azione). Il romanzo è permeato dall’ atmosfera sopra le righe di quel periodo, da personaggi eccessivi e provocatori come il giovane Filippo Bertini, soldato innamorato di Marinetti e del Futurismo che in ossequio ai suoi canoni si fa chiamare Vivafilippo, o come Viviana, tragica e seducente dark lady, il tipo di donna che faceva vibrare i cuori pronti a infiammarsi dei suoi numerosi corteggiatori. Leoni ha ricostruito con tale perizia e precisione il contesto storico da farci quasi dimenticare la trama: un tragico omicidio a Villa Meridiana, clinica psichiatrica situata a Fiume,  utilizzata da D’Annunzio per una festa davvero a sorpresa, in cui vizi privati, illusioni amorose e moventi politici si intrecceranno a costruire un mosaico complesso e visionario degno del genio futuristico. La bellezza di questo romanzo consiste nell’immersione del lettore in un’epoca conosciuta solo nei libri di scuola, ma qui riprodotta con lo scrupolo dello storico e l’immaginazione dello scrittore. L’unico personaggio normale e raziocinante è il leale tenente Marni, l’investigatore costretto ad aggirarsi tra Vati, amanti di Vati, spie e sinistri rappresentanti politici, illusionisti e psichiatri. Un tourbillon di eventi che culmineranno nell’illuminazione finale. È gustosa l’ironia del detective che il legionario Marni assume come suo modello: lo yankee Nick Carter, al cui acume tenta di ispirarsi. Il lettore appassionato di storia e letteratura si divertirà scoprendo tra le righe citazioni, richiami e allusioni assai raffinate e ingegnose. Ovviamente, la recensione stessa è conforme alla retorica e all’originalità del periodo. 

Donatella Brusati

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