Nel 1977 Pupi Avati realizza un vero e proprio divertissement con una pellicola dove con humour grottesco e macabro sembra ironicamente citare se stesso: Tutti defunti… tranne i morti.
Anni ’50: Dante, un commesso viaggiatore timido e imbranato gira la campagna emiliana per piazzare, presso famiglie doviziose e decadute, un libro sulla loro genealogia. Giunto nella villa Zanotti, trova la famiglia riunita per partecipare alle esequie del marchese Ignazio, defunto improvvisamente. Sedotto dall’affascinante ed estroversa Ilaria, figlia del marchese, Dante si lascia convincere a trattenersi alla villa, ma diventerà testimone di una serie di omicidi, commessi da un inarrestabile assassino. Questi, mettendo in pratica un’antica profezia contenuta nel libro, vuole mettere le mani su un favoloso tesoro. Dopo una sarabanda di delitti, che nemmeno un volenteroso ma incapace investigatore privato riuscirà a fermare, l’assassino pare aver raggiunto il suo scopo, ma la soddisfazione è solo momentanea perché qualcun altro godrà i frutti dei suoi crimini.
Interpretata dalla consueta sfilata di volti avatiani, la pellicola vede l’esordio nelle storie del maestro bolognese di Carlo Delle Piane (il grottesco commesso viaggiatore Dante), già adolescente comprimario nelle popolari commedie all’italiana degli anni ’50. Una collaborazione lunga ormai decenni, da Festa di laurea a Una gita scolastica, chiudendo un cerchio (ma solo per adesso) da un Regalo di Natale fino alla relativa Rivincita di Natale. Francesca Marciano è una marchesina Ilaria ancora più morbida della maestrina del film precedente e svampita quel tanto che basta per adeguarsi al tono surreale della vicenda; Gianni Cavina esaspera il logorroico esibizionismo dell’inetto investigatore Martini; Ferdinando Orlandi, Giulio Pizzirani e Bob Tonelli assolvono al meglio il loro compito, che è quello di alternare un ghigno a una smorfia, per strappare il sorriso e il brivido, ma di divertimento. Partecipa all’helzapoppin’ squinternato un giovane Michele Mirabella, lontano da un futuro ricco di Elisir e ancora vicino ai travestimenti quasi “arboriani” che rendono il suo cow-boy una macchietta divertente e strampalata.
Assurde, ma senza dubbio efficaci, le tecniche con cui la misteriosa figura vestita di nero sopprime i convenuti al funerale del marchese Ignazio. Due fra tutte: Donald, impenitente masturbatore, collegato nottetempo a un rudimentale elettro-shock che ne inibisce le pulsioni, fulminato nel suo letto dopo una tempestiva “provocazione”, o il nano “enfant prodige” che viene prima ucciso e poi inviato per pacco alla villa dove, ritenuto ancora in vita, subirà una disperata rianimazione bocca a bocca. Ma l’assassino gli ha nascosto in gola un tubo collegato a una bombola di veleno che ucciderà la generosa soccorritrice. Insomma, una sfrenata, divertente e divertita parodia horror che poggia però su una trama solida. Così solida che alla fine tutto sembra chiaro e anche la lugubre filastrocca stampata sul libro del malcapitato Dante spiega finalmente la vera causa dei delitti, e quindi anche l’(apparente) incoerenza nel titolo del film.
Pupi Avati: fra la via Emilia e il Midwest continua…