Valerio Varesi

Cominciamo con l’amico Valerio Varesi una nuova rubrica di MilanoNera dedicata agli scrittori. Cinque domande dirette per conoscerli meglio.

Il libro (di un altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere

Sono tanti i libri che avrei voluto scrivere… Mi va di giocare in casa, così scelgo uno scrittore emiliano poco conosciuto che meriterebbe molto di più di quel che ha avuto dalla critica e dal pubblico: vorrei aver scritto “Casa d’altri” di Silvio D’Arzo. Quanto ai miei libri… Il fatto di averli scritti rende difficile rinnegarli. Anche se, a distanza di tempo, non riflettono più quello che si è oggi, rimangono comunque espressione di quel che si era nel momento in cui sono stati concepiti. Sarebbe come rifiutare una parte di se stessi. Lo scrittore, come ogni persona, è in mutamento continuo e se si confrontano il suo primo libro con l’ultimo, a volte si può avere l’impressione che siano frutto di due autori differenti.

Ti ritieni uno scrittore di genere o scrittore toutcourt, perché?
Perché c’è differenza? Detesto le definizioni in base a ciò che uno scrive. Non ha senso dire ‘giallista’ come se scrivere gialli fosse un mestiere differente da quello dello scrittore di altro genere. Allora, anche chi scrive romanzi d’amore non viene chiamato ‘rosista’? Inoltre, io sono uno scrittore con caratteristiche borderline. Uso il poliziesco, ma per raccontare anche dell’altro. Cerco di portare dentro il giallo i contenuti della letteratura ‘alta’. Insomma, predico il meticciato dei generi, mi piace essere eclettico, giocare con le differenti strutture. Mi sembra che oggi le separazioni fra generi non abbiano più senso.

Un sempreverde da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare.

Lo straniero di Camus, un manuale su come si scrive un romanzo. Una canzone? Via della Croce di De André. Un film? Dersu Uzala

Si può vivere di sola scrittura oggi?

Nella maggior parte dei casi no. Il mercato dei libri è piccolo e gli autori tanti. Solo alcuni capaci di vendere tante copie possono permettersi di vivere con la scrittura. Nella maggior parte dei casi occorre fare un secondo lavoro. Oppure si può scegliere di fare la fame vivacchiando tra piccoli proventi, collaborazioni… Ma è una vita che solo una minoranza si adatta a praticare.

Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perchè?
Non ho le idee molto chiare in proposito. Ho l’impressione che le scuole di scrittura servano molto più a creare cenacoli per chi ama la letteratura che a diventare scrittori nel vero senso della parola. Oppure, sono uno dei proventi degli autori che tentano di vivere di scrittura. Ce ne sono di vario tipo, da quelle lussuose, veri e propri corsi para-universitari, a quelle più strapaesane. Penso la stessa cosa delle scuole di scrittura che dei libroni popolari di scarso o nullo pregio letterario che tuttavia vendono milioni di copie: male non fanno. Tutto quello che favorisce la lettura o parla di letteratura va bene in un mondo in cui i lettori sono pochi e la letteratura non è promossa da nessuno.
(paolo roversi)

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