La firma del puparo



Roberto Riccardi
La firma del puparo
e/o
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Non è da tutti essere capaci di muovere “i fili dietro le quinte” e negli ambienti di Cosa Nostra a Palermo uno solo si è guadagnato il soprannome di “puparo”, di “sbozzatore ignoto” di diversi scultori che ha fatto della città di Palermo il suo marmo senza lasciare mai la firma. Toccherà al tenente Rocco Liguori cercare di scrivere quel nome, rivelarne l’identità in modo palese.
Dopo “Undercover” e “Venga pure la fine”, il terzo romanzo di Roberto Riccardi “La firma del puparo”( pagg. 199, euro 16,00), quindicesimo della collezione sabot /age delle edizioni e/o, propone un tenente Liguori più maturo e pronto ad affrontare un passato che apre vecchie ferite e lo riporta con la mente e col cuore nel paesino natìo in Aspromonte. Lì da bambino cercava “la sua strada tra le pagine dei libri” che gli suggeriva il salumiere Procopio e giocava a pallone con Nino, diventato crescendo “esattore della ‘ndrangheta”, mentre lui aveva seguito le orme paterne entrando nell’Arma.
“La promessa della ‘ndrina locale e il figlio del maresciallo” di nuovo vicini in questo romanzo che magistralmente unisce i sapori delle novelle siciliane ai più prelibati gusti del noir con una serrata indagine investigativa in cui emergono i lati oscuri delle menti criminali. Il boss del narcotraffico Nino Calabrò decide di collaborare con la giustizia e per tutelare la sua famiglia chiede che le indagini siano affidate a Rocco Liguori il tenente dei carabinieri e ancora prima amico di infanzia che anni prima lo aveva arrestato. Dallo scalo per l’aviolancio di Pontecagnano dopo “un tuffo nell’infinito”, Liguori riprova il brivido della paura e riceve la telefonata che lo porta ad accettare la sua nuova destinazione alla Sezione omicidi del nucleo investigativo di Palermo. Nino “stava barattando il passato col futuro” e la sua storia criminale diventa la merce di scambio per salvare la moglie Maria, le sue bambine e soprattutto l’adorato figlio maschio, dalla vendetta mafiosa. Il passato ritorna prepotentemente nella vita di Liguori che si ritrova ad indagare sulla scomparsa del giornalista di cronaca nera Sanfilippo col commissario Vera Morandi.
Liguori si concentra sulla cosca dei Mandalà e su chi è subentrato dopo, “la guerra continuava per gli uomini delle cosche, per lo sparuto drappello dei giustizieri e per chi casualmente ci finiva nel mezzo” e si aprono squarci sulla presunta collaborazione tra la ‘ndrangheta calabrese e la piovra siciliana che lo portano fino in America. Come nella ritualità della mattanza dei tonni il momento giusto non si può stabilire in anticipo e toccherà al “raìs” decidere “quando iniziare e concludere l’operazione” per fare cadere in trappola la preda e condurla “nella camera della morte”. Proteggere la famiglia di Calabrò, per Liguori, significa anche fare chiarezza sulla scomparsa del giornalista, ricostruire le mosse del puparo e comprenderne i segnali, e aiutare i colleghi coinvolti a contrastare le ripercussioni mafiose. Dalle famiglie di appartenenza scaturisce tutta la dinamica della trama di Riccardi che punta l’attenzione sulle figure paterne, su quei genitori che decidono il destino dei loro figli e muovono i fili. Nel teatro della vita a tirare i fili è spesso il sentimento dell’amore da quello filiale a quello paterno a quello passionale e Riccardi da bravo puparo delle parole si riconferma un maestro nell’arte del noir.

Cristina Marra

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