A mosca cieca è l’ennesimo romanzo della fortunata serie che vede protagonisti il detective della polizia di Los Angeles Peter Decker e la moglie Rina.
Questa volta Decker dovrà indagare sulla misteriosa e cruenta uccisione, avvenuta nel corso di quella che potrebbe anche sembrare una rapina finita malissimo, del ricchissimo imprenditore Guy Kaffey, della moglie e di alcuni membri dello staff, mentre il figlio Gil è rimasto gravemente ferito e due guardie del corpo sembrano svanite nel nulla.
Le indagini si presentano subito molto difficili, anche a causa della presenza di parenti del morto (soprattutto l’altro figlio Grant e il fratello di Guy) per molti motivi sospettabili, nonché della pessima abitudine di Guy di assumere alle proprie dipendenze anche ex delinquenti, più o meno pentiti, per aiutarli nel loro percorso di riabilitazione.
Come se non bastasse, anche Rina, la moglie di Decker, viene coinvolta a livello personale, in quanto un interprete cieco che lavora per il Tribunale in cui la donna è giurata in un processo minore le chiederà di aiutarlo a identificare degli ispanici che lui, con il suo udito finissimo, ha ascoltato parlare con grande cognizione di causa del grave fatto di sangue.
In tal modo, fatalmente, anche la donna rischierà di finire nel mirino dei criminali, in quanto testimone pericolosa, e Decker dovrà fare di tutto per riuscire a risolvere il caso prima che sia troppo tardi.
Va detto che la Kellerman scrive bene e la serie e i suoi meccanismi sono ormai molto collaudati.
Ma, a parere del tutto personale, la tensione manca, le indagini risultano spesso descritte in maniera fin troppo minuziosa e la gran quantità di possibili sospetti le rende in questo caso talvolta difficili da seguire.
Certe vicende del libro potrebbero poi essere meglio sviluppate, come pure alcuni approfondimenti psicologici; la soluzione, infine, appare fin troppo scontata.
Tirando le somme, l’autrice ci gira intorno con bravura, ma le circa trecentosettanta pagine del libro si portano a termine con una certa fatica.
Anche le serie più fortunate, a volte, denotano inevitabilmente qualche segno di stanchezza.