Tutto il bene che si può – Rye Curtis – Rye Curtis



Rye Curtis
Tutto il bene che si può
Bompiani
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1986. Estate.

Nella foresta del Montana precipita un piccolo aereo da turismo. 
I monti Bitterroot hanno una vegetazione molto fitta e l’aereo risulta disperso. 
Una coppia di anziani in vacanza, “i Waldrip” sono gli unici a bordo oltre il pilota. 
Le ricerche disperate non danno alcun esito, ma le settantaduenne Cloris Waldrip è sopravvissuta.
Cloris è una delle due protagoniste di questo libro. 
Una donna briosa e molto energica  alle prese con una situazione difficile e con il disperato tentativo di riuscire a sopravvivere. 
Una donna che prende coraggio dal racconto che fa a se stessa – e al suo “angelo custode” di cui non si può dire –  delle sue stesse storie passate e che avanza nella foresta nutrendosi di vermi, radici e erba. 
Una donna che riesce a sfuggire ad ogni sorta di pericolo “alimentandosi” della sua razionalità. Per buona metà del libro, ascoltiamo con interesse la sua voce. Come un lungo monologo di confessione; come una litania di sopravvivenza.
L’altra protagonista è Debra Lewis, una donna ranger che, oltre ogni possibile logica e seguendo labili tracce, si ostina a continuare a credere che Cloris sia ancora viva.
Una donna sola, Debra, che beve Merlot di basso costo come se fosse caffè.
Il tempo passa, inesorabile, e di Clovis, che è sempre più esausta, nessuna traccia. 
Inoltre, ad incrementare la paura e la suspence, si scopre che nella stessa foresta si nasconde un delinquente che abusa di bambine. Quale sarà il suo ruolo nella vicenda? 
Ma la ranger è testarda e non si arrende, e continua imperterrita a seguire le tracce dell’anziana donna. 
È un dramma insolito, a tratti anche attraversato da umorismo, questo romanzo di Rye Curtis, con una trama densa di sorprese. 
È un libro che analizza dettagliatamente la capacità di adattamento di un essere umano – nello specifico di una donna in avanti con gli anni – in situazioni difficili e all’apparenza irrisolvibili. 
“Tutto il bene che si può” è un romanzo che fa riflettere sulla paura di morire e sulla speranza di sopravvivere, allo stesso tempo. 
L’autore, utilizzando la narrazione in prima persona per il racconto di Clovis e in terza per quello di Debra, rende la lettura dinamica e insolita. 
Le due narrazioni si intersecano poco e ciò dipinge ancora di più di mistero la particolare trama.
I personaggi sono caratterizzati per essere avvolti da un sottile velo di follia, – che spesso non è comprensibile ma che si ha voglia di esplorare –  per essere conditi con le spezie dell’arguzia e dell’acume, e per essere insaporiti da un pizzico di fortuna.
È una storia un po’ surreale, quasi fantastica, che ci fa appassionare all’avventura e alla scoperta di territori inesplorati. 
La fitta vegetazione della foresta è l’ulteriore protagonista di questa storia atipica.  Simboleggia il lato poco conosciuto dell’animo umano, a volte ignoto e oscuro come il più impenetrabile dei boschi.

Brunella Caputo

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