Il libro (di un altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere.
Risposta alla prima domanda: “Piccolo Blues” di Jean Patrick Manchette, pulizia formale e grande anima. Questo titolo insieme ad altri 4.800 di alta e bassa letteratura. Per esempio, trovo geniali alcune idee-topic e credo che mi sarebbe piaciuto averle per primo: inquisitori immortali, picchiatori schizofrenici, poliziotti con gli occhiali a goccia in quel della Bologna metropolitana… Confesso che avrei voluto scrivere anche tutto Matheson, Thompson e Calvino (quest’ultimo lo cito anche per darmi un tono “intellettuale”). Il libro che non avrei voluto scrivere? Non c’è libro che non avrei voluto scrivere. Con la fatica che si fa, alla fine conviene sempre esserne soddisfatti.
Sei uno scrittore di genere o scrittore toutcourt, perché?
Sono uno che nella vita si occupa di storie. Le studia, le racconta, studia a sua volta il modo per raccontarle. Un intreccio perverso di testo e metatesto, ecco cosa. Sono un piatto di spaghetti tutti aggrovigliati e quello che faccio è raccogliere con una forchetta spaghetto per spaghetto. A volte generose boccate, altre volte un singolo filo di semola alla volta. Quanti spaghetti ogni boccone? Dipende dalla fame.
Il genere esiste, le gabbie esistono, esiste il modo per scappare dalle gabbie. E credo che spesso sia più divertente far vedere al lettore come si scappa di come si è bravi a rotolare sull’erba. Mi occupo di escapologia. Nello stesso tempo, il genere è un problema dell’estetica, ma non è del tutto vero che esistono solo i romanzi brutti e quelli belli. A volte c’è da sbucciare la cipolla.
Un sempreverde da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare.
Sempreverde=Shakespeare (debolezza mia, scusate, oggi va così… Il buon Gugliemo Scuotelapera aveva dentro tutto).
Canzone=Devil may care di Bob Dorough (perché almeno al Diavolo fregherà qualcosa di noi…).
Film=Casablanca di Michael Curtiz (ehi, sono uno sceneggiatore… che ci posso fare? E sono anche un romanticone…)
Si può vivere di sola scrittura oggi?
Sì e no. Ci sono dei tempi tecnici per poter vivere di sola scrittura. L’Italia non aiuta, ma credo proprio che si possa fare. Romanzi, racconti, saggi, sceneggiature, doctoring, programmazione, editing, traduzione. Si possono fare molte cose se si vuole vivere di scrittura.
Ci vorrebbe una sola intervista solo per questo argomento… Tutto si riduce a questa domanda, credo: cosa vuoi dalla vita? Vuoi un Porsche Cayenne? Beh, allora scrivi nei ritagli di tempo e datti da fare con la consulenza finanziaria o il traffico di droga! Muoviti!
Comunque ricordatevi della finanza creativa, bisogna sapersi raccontare che si può fare una cosa anche mentre i conti correnti sono correnti nel senso che corrono giù, verso il rosso… Ottimismo, italiani! Spendete!
Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perchè?
Favorevole. E non lo dico perché ci insegno, lo dico perché chiunque abbia una storia da raccontare, chiunque voglia mettersi alla prova davanti a un foglio bianco – che sia per “vocazione” o solo per una sana, sanissima curiosità – ha bisogno di una cosa fondamentale: deve confrontarsi con gli altri che lo fanno. La scrittura è anche e soprattutto questo: confronto. Le storie sono soprattutto questo (il confronto è spesso conflitto). Insomma, bisogna trovare una dimensione fantastica condivisa. Bisogna trovarla, non solo crearla. E’ un atto di umiltà. Poi c’è chi ha quello scarto in più, quel fuoco, quell’urgenza, ma anche a quel privilegiato sarà fondamentale conoscere gli strumenti. Mi fermo qui, ho detto la mia cosa.
(paolo roversi)