Lasciati, anche se a me spiace, esorcismi e diavolerie del suo ultimo romanzo, Simoni torna al suo classico raccontare prima maniera, con un nuovo intrigante feuilleton (il primo di un’altra Secretum Saga) e un’avventurosa trama che mischia storia, alchimia, rocamboleschi duelli, tranelli, doppi giochi, tradimenti e costumi rinascimentali.
Dopo un misterioso prologo, ambientato a bordo di una galea giunta da Bisanzio nel 1439, in cui un certo Abate Nero, evidentemente il gemello segreto di Cosimo de’ Medici, poi detto il Vecchio, gonfaloniere di Firenze a cui affida – per quelle che vorrebbe amorevoli cure e che invece scopriremo abbastanza pelose- suo nipote, un fantolino di tre anni. E qui zac la sorpresa: i tratti del volto dell’abate Nero sono identici a quelli di Cosimo. Insomma da vedere in tutto e per tutto la copia carbone l’uno dell’altro, salvo per uno strano particolare: i capelli corvini dell’abate sono striati da venature d’argento, stesso particolare che distingue il nipotino di tre anni.(Ah si scopre anche che i due gemelli Medici si chiamano: Cosimo e Damiano.)
Con un balzo di vent’anni di tempo e luogo, si passa a Firenze il 21 febbraio 1459.
Il mercante e banchiere Giannotto Bruni viene misteriosamente assassinato da uno sconosciuto con turbante nei sotterranei della cripta dell’abbazia di Santa Trìnita. Unico testimone un certo Tigrinus, giovane ladro con i capelli neri striati di bianco (e noi immaginiamo già chi possa essere) che viene subito accusato di omicidio, ma un superiore intervento gli permette di fuggire, evitando per di più la condanna a morte. Ma in cambio di cosa? Rapire un monaco. Mal gliene incoglie e un sacco di brutti guai perché Tigrinus, pur con l’aiuto del suo malefico nano Caco, sarà ricercato, sotto tiro incrociato e costretto a sfuggire alla vendetta di Angelo e Bianca, il figlio e la nipote della vittima. Ma, durante la sua pericolosa latitanza, scopre qualcosa che può aiutarlo a cambiare le carte in tavola: la morte di Giannotto Bruni forse è collegata alla scomparsa di un tesoro in perle nascosto su una nave in arrivo dall’Oriente? Per tirarsi fuori dai pasticci Tigrinus, su ordine di Cosimo de’ Medici, dovrà andare a Venezia, imbarcarsi verso l’Oriente per salvare la pelle e superare ai remi uno spaventoso viaggio per mare, in caccia di qualcuno… Un qualcuno che sa tutto di lui e del suo passato: un uomo chiamato l’abate nero.
Stavolta con L’eredità dell’abate nero Marcello Simoni ci stupisce, toccando i limiti del fantasy. Ma non fa che darci una spiegazione di qualcosa che assomiglia alla realtà. Sappiamo che in passato gli insegnamenti religiosi, le storie sacre, le interpretazioni della Bibbia e le diaboliche condanne infernali per punire l’umana empietà erano affidate, per farle conoscere al popolo, alle immaginose e iconoclastiche rappresentazioni degli affreschi nelle pareti delle abbazie e delle chiese.
La storia rinascimentale si mischia spesso ai segreti arcani dell’oriente, ambiti oscuri, antichi testi studiati, magari conservati gelosamente ma allo stesso tempo temuti dai più. Ḕ l’epoca questa in cui si raccoglievano e conservavano negli studioli delle massime magioni patrizie: pietre, pozioni, amuleti, collegati al magico desiderio di riuscire a piegare i poteri occulti. L’arcano ha sempre ammaliato e stuzzicato i potenti con il suo ideale dell’ignoto e la speranza di conoscere il futuro. Non guasta affatto pertanto un bel mixer salgariano in misteriosa salsa fiorentina. Alla prossima puntata.
L’eredità dell’abate Nero
Patrizia Debicke