Animali in noir: I gatti nelle crime stories di Seishi

Animali in noir


Intervista a Francesco Vitucci traduttore dei romanzi di Yokomizo Seishi editi da Sellerio

Lo abbiamo conosciuto con i romanzi “Il detective Kindaichi” e “La locanda del gatto” e Yokomizo Seishi (Kobe 1902-Tokyo 1981) grande innovatore del poliziesco giapponese negli anni Trenta del Novecento ha conquistato anche i lettori italiani col suo detective Kindaichi Kosuke. Tradotte da Francesco Vitucci le due crime stories sono un delitto della camera chiusa e di un delitto senza volto e in entrambe troviamo la presenza di un gatto con un ruolo di primo piano nella trama poliziesca. 

Francesco, hai tradotto i due noir di Yokomizo Seishi col suo detective Kindaichi, che ruolo hanno gli animali e soprattutto i gatti in questi romanzi?
Direi che giocano un ruolo chiave, almeno nei romanzi che ho tradotto fino a ora. Ne Il detective Kindaichi l’amato gatto di Suzuko muore proprio il giorno del matrimonio fatidico di suo fratello Kenzō, ma la tomba dove viene sepolto sarà oggetto di indagini approfondite e alquanto peculiari. La sua morte si lega altresì ad alcune superstizioni tipiche della tradizione giapponese. Lo stesso accade nella Locanda del Gatto nero dove, invece, il ruolo del gatto è davvero centrale all’interno della narrazione. Non a caso, Yokomizo gli dedica il titolo del romanzo: i gatti, è lecito affermare, si ritrovano giocoforza complici con gli assassini e vengono spesso strumentalizzati dall’uomo per i loro intenti criminali. Come se l’autore volesse intendere che l’uomo spesso è davvero più feroce delle bestie. Più cinico e malvagio del mondo animale. Ciononostante, la presenza dei gatti, a mio avviso, aggiunge un alone di mistero che non sfigura affatto all’interno delle trame di Yokomizo: l’atteggiamento del gatto – insondabile e sfuggente – ci coinvolge e ci risucchia nostro malgrado in una serie di ipotesi e di ragionamenti che appaiono imprescindibili per i lettori dei romanzi gialli.

Celebri autori di polizieschi e noir possedevano un gatto che poi è finito anche nei loro romanzi, che tu sappia ne aveva uno anche Seishi?
Sì, Yokomizo amava i gatti e ne aveva uno che si chiamava Kuro (lett. Nero) che vediamo spesso fargli compagnia in alcune foto che lo hanno reso celebre. Anche il gattino che compare nel secondo capitolo della Locanda del Gatto nero si chiama così. Probabilmente la citazione è stata un modo per rendergli omaggio e dimostrargli il suo affetto.

Il detective Kindaichi che rapporto instaura con i gatti che appaiono nei romanzi?
Kindaichi è un pragmatico e sa benissimo che i gatti sono esseri del tutto innocenti. Lui sa che gli assassini con i quali si confronta sono subdoli e pronti a tutto purché di farla franca: sa che riescono a strumentalizzare qualsiasi cosa che capita loro sottomano, gatti inclusi. Detto ciò, è un acuto osservatore e anche quando i vari malfattori cercano di inscenare improbabili aggressioni da parte dei nostri amici felini per occultare omicidi ben più efferati, rimane sempre vigile e distaccato. Conosce bene il comportamento dei gatti, sa che sono animali raffinati e intelligenti. Ama studiarne il comportamento e, proprio per questo, sa che non soccombono così facilmente, per esempio.

Sei studioso della cultura giapponese, mi racconti un aneddoto o una delle tante credenze legate ai gatti?
Bisogna innanzitutto partire dal presupposto che il gatto è un animale oltremodo amato in Giappone. Basta passare davanti ai tanti negozi e ristoranti giapponesi per imbattersi nelle numerose statuine del famoso Manekineko (lett. Gatto che invita), considerato di buon auspicio poiché aiuterebbe ad attirare i clienti all’interno. Varie leggende prendono vita nel periodo Edo (1603-1868) intorno a questo gatto di cui la più popolare è la leggenda del tempio Gōtoku-ji. Si racconta che nel diciassettesimo secolo, un povero monaco che viveva nel piccolo tempio Zen a Setagaya condividesse i suoi magri pasti con un gatto domestico che si era smarrito nel tempio. Un giorno, un signore feudale di nome Naotaka fu colto da una tempesta durante una battuta di caccia e dovette mettersi al sicuro sotto un grande albero proprio vicino al tempio. Riparandosi, notò il gatto che alzava la zampa come per invitarlo a entrare all’interno: incuriosito, l’uomo fece per avvicinarsi all’animale quando, proprio in quell’istante, un fulmine si abbattè sull’albero sotto il quale aveva trovato riparo. Naotaka ne fu così grato che divenne presto il patrono del tempio, lo restaurò e lo ingrandì. Quando il gatto morì, lo fece seppellire all’interno dove eresse una statua in suo onore che è ancora oggi oggetto di venerazione.  

Cristina Marra

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