Bisogna capire la storia, non riscriverla. Intervista ad Alex Connor – Ascesa al potere

Alex Connor, in libreria con Ascesa al potere – La saga dei Borgia, NewtonCompton, ha cortesemente accettato di rispondere al fuoco di fila di domande di Patrizia Debicke.

Perché hai voluto scrivere questa Saga dei Borgia?
Chi non è affascinato dai Borgia? Incantano, seducono, ma secondo me il loro maggiore atout è stato rappresentare un tutt’uno come famiglia: un groviglio di  ambizioni di gente con lo stesso sangue  che mirava  al potere. Questo è ciò che mi intriga di più. Il cardinale Rodrigo Borgia organizzò la scalata del Vaticano con la stessa cura con cui pianificava il futuro dei suoi figli. Voleva una dinastia, immaginava che Cesare, il carismatico assassino, potesse un giorno diventare Papa; che Juan avrebbe guidato l’esercito papale verso la gloria regalando ai Borgia  un potere senza limiti. Lucrezia poi, era stata cresciuta e addestrata come un’esca appetitosa o una merce di scambio da proporre ad ambiziosi corteggiatori. E invece Rodrigo, il consumato politico,  aveva sbagliato i calcoli. E i suoi errori fecero crollare tutta la sua ardita cabala come un castello di carte.  

Qual è il tuo Borgia preferito? E perché?
Cesare è il mio Borgia preferito anche se non lo trovo un personaggio attraente. Lo immagino come un crudele doppiogiochista. Tuttavia. era uno straordinario soldato e un notevole stratega militare. Se fosse stato messo prima a capo dell’esercito pontificio al posto di Juan, quale avrebbe potuto essere la sua storia? Si mosse come poteva, si fece lo stesso una enorme reputazione, ma gli anni sprecati come cardinale, la gelosia nei confronti del fratello, l’imbelle Juan, e l’umiliazione di essere trascurato furono difficili da ingoiare per un uomo con il temperamento di Cesare Borgia. Imprigionato dalla veste talare che lo prevaricò tentando di soffocarlo, non c’è da meravigliarsi che quando finalmente riuscì a liberarsene, si sia dimostrato un eccezionale combattente ma instabile, incontrollabile e inadatto alla politica.

Questa prima parte della Saga è ambientata nel periodo di transizione prima dell’ascesa al trono di Alessandro VI. Perché invece hai scelto di iniziare la tua Saga dal momento della sua morte?
Volevo iniziare la saga dalla fine. Pare sadico vero, ma per me descrivere Alessandro VI morto –  il suo corpo gonfio, abbandonato  e ignorato sia da Cesare che da Lucrezia –  era  assistere alla   caduta di un tiranno. Troppo spesso vediamo film e serie televisive che seguono la cronologia degli eventi, e invece ho pensato che fosse più scioccante far vedere l’orrenda morte, la fine, per  poi ripercorrere la Saga dei Borgia nella storia e far capire come si sia arrivati alla disgrazia fatale.

Alla morte di Innocenzo VIII durante il successivo conclave per eleggere il nuovo papa, Rodrigo Borgia (Roderic Llançol de Borja) avrà solo due possibili rivali: Ascanio Sforza e Giuliano della Rovere. Qual è la tua opinione su di loro?
Mi è piaciuto Ascanio Sforza, e ora, dopo aver completato  il secondo volume della trilogia, sono ancor più affascinata alla sua personalità. Fu senza dubbio un politico esemplare, corrotto come molti cardinali dell’epoca, del resto anche Ascanio avrebbe voluto essere Papa ma…. Tuttavia, accettò  di buon animo la sconfitta e sostenne Rodrigo Borgia, poi  Alessandro VI, in cambio della carica  di vice cancelliere. Decisione non facile e forse non troppo grata neppure nella sua famiglia. Gli Sforza  speravano di contare su Ascanio come spia a Roma? Certamente in alcuni momenti anche il papa avrà sospettato di lui, che invece gli fu fedele e rimase sempre al suo fianco. Fu solo per salvaguardare la sua posizione in Vaticano? Oppure Ascanio Sforza era rispettato, anzi apprezzato, dal Pontefice?
E invece il cardinale Giuliano della Rovere era un uomo amareggiato. Avendo desiderato diventare Papa e sicuro di vincere l’elezione, quando fu battuto da Rodrigo Borgia in lui si scatenò  la rivalsa. Si infuriò contro il Papa e complottò con il re francese per far deporre Alessandro VI  e prenderne il  posto. Accusò il Pontefice di dissolutezza, ma  anche lui aveva un’amante, l’accusò di corruzione,  anche se come Sforza della Rovere aveva tentato di pagare per accedere al soglio pontificio. Voleva  davvero purificare la chiesa cattolica dalla corruzione spodestando il Papa Borgia? O piuttosto voleva il papato per sé? Col senno di poi il suo sdegno è comprensibile, e alla fine Giuliano della Rovere divenne un grande Papa, Giulio II. Ma fu una strada lunga, rischiosa e tutta in salita. Non aveva tenuto in sufficiente considerazione l’ambizione di Alessandro VI , e la spietatezza di suo figlio. E, quando qualcuno sfidava il Papa, sfidava anche il cardinale Borgia.

Perché sui Borgia hai scelto la visione più dura e oscura, quella che diresti più legata ai taccuini di memorie di Johann Burchard, il Burcardo?
Avevo letto “At the Court of The Borgia” (Folio Society) anni fa e credevo che fosse un ricordo affidabile del tempo di Johann Burchard come maestro di cerimonie del papa. Il suo resoconto mi ha certamente dato un’idea di quanto accadeva in Vaticano e della vita dei Borgia, ma le lacune dei Diari di Burchard erano altrettanto rivelatrici. Burchard era un abile cronista, che occupava una  posizione molto pericolosa. Doveva scrivere un diario di quanto accadeva senza critiche, denuncie, e soprattutto senza esprimere giudizi. Dunque abbiamo solo alcune descrizioni della famiglia Borgia, fatti, vicende, doveri militari e le varie campagne di Cesare. Ma quello che francamente colpisce  di più è la descrizione della morte di papa Alessandro VI. Riconosciamo il suo metodo, il suo solito stile misurato, privo di emozione, ma domina scioccante il tono di trionfo e il suo voluto indugiare sull’idolo caduto. 

Perché ha voluto attribuire al mercenario Corella la personalità di diabolico istruttore e tentatore?
Ci doveva essere qualcuno come Micheletto Corella nell’infanzia di Cesare Borgia. Suo padre Rodrigo non era un soldato. Era un uomo che amava i vizi della carne, ma non sapeva combattere. Ecco il perché della scelta di un uomo in grado di plasmare i suoi figli come indomiti tori da combattimento spagnoli, impavidi gladiatori nell’arena vaticana. Corella era un noto assassino, un mercenario, un devoto della chiesa cattolica, chi meglio di lui poteva trasformare due ragazzini in uomini temprati?
Fu Corella a riconoscere il rischio a venire prima di Rodrigo. Dopo aver valutato i due fratelli, si rese conto che Juan non era per natura un soldato, ma gli piaceva l’idea di diventare un eroe. Cesare invece era un soldato in tutto e per tutto, desideroso del campo di battaglia quanto Juan lo era per il bordello. Micheletto Corella fu fondamentale nello sviluppo delle capacità di Cesare e anche nel placarlo quando veniva trascurato. Inoltre rappresentava la sicurezza. Forse fu l’unico punto fermo in una vita instabile. Cesare trovò una certa amicizia con Lucrezia; devozione da parte di sua madre e ammirazione misurata con suo padre, ma aveva bisogno di un idolo. Micheletto Corella gli dette quello che gli serviva. Lui, il cavallo da guerra, il guerriero di ferro, l’assassino pagato, la persona giusta per insegnare a un ragazzo a diventare un assassino senza paura.

Oggi proviamo a raccontare i Borgia umanizzandoli ma sinceramente credo che si siano avvicinati di più alla tua versione. La cultura di tutti loro, sempre inerente ai grandi personaggi di quell’epoca, pensi che sia servita a renderli migliori o peggiori?
Nella domanda precedente hai detto che Micheletto Corella era “diabolico”, ma era semplicemente un uomo del suo tempo. Le guerre dovevano essere combattute e avevano bisogno di mercenari che sapevano come farlo. Giudichiamo Corella, della Rovere, Machievelli, Savonarola e i Borgia dal nostro punto di vista del 21° secolo, ma questo è pericoloso. Non possiamo imporre i nostri valori e la nostra morale al passato, riscrivere la storia invece di provare a  capirla.
Quando i Borgia vivevano, vivevano sotto minaccia. Ogni volta che un papa moriva c’era la fila tra i cardinali per sostituirlo e  in lizza per guadagnare  posizioni o per mantenere il loro status. La concussione e la corruzione erano accettate come un modo per raggiungere i propri fini, perché era diffuso, previsto, accettabile. Enormi ricchezze e potere erano in palio per vincere. In una fossa per orsi non si può vincere senza combattere. In tanti casi diventava addirittura  una regola di mera sopravvivenza. Si vedevano cardinali avvelenati,  proprietà saccheggiate, famiglie esiliate. Chi era  contro il potere  rischiava la morte. 
Alessandro VI lo sapeva. Se il cardinale della Rovere fosse riuscito a deporlo tramite il re di Francia, sarebbe stato giustiziato, insieme alla sua famiglia in piazza San Pietro. Non ci sarebbe stata alcuna corte d’appello come c’è ora, nessun stato a proteggerlo. Sì, le persone erano astute, corrotte, mendaci  e, ai nostri occhi, spietate. Ma perché dovevano esserlo.
Al tempo dei Borgia dovevi vincere perché, se  perdevi, la sconfitta poteva essere letale. 

Nell’ultima domanda che ti ho fatto,  e scusa forse non mi sono spiegata bene, volevo sapere se la grande cultura, sempre legata ai protagonisti di quell’epoca, secondo te sia servita  a renderli migliori o peggiori?
Certo, i Borgia, della Rovere, Machiavelli ecc. erano persone molto colte, ragion per cui le loro azioni, i loro modi omicidi e subdoli appaiono più scioccanti? Ma se è così, sorge la domanda: ci aspettiamo che le persone istruite siano più morali? O l’apprezzamento artistico giustifica l’immortalità? La mia risposta sarebbe: è vero. Avevano studiato, erano davvero colti, eruditi e nel caso di Della Rovere in particolare, grandi mecenati delle arti – ma all’epoca in cui vivevano l’apprendimento era in dote solo a  una piccola percentuale della popolazione, venerato e collegato a una certa superbia  intellettuale. Ci si aspettava che un principe o un papa fossero colti. E se un uomo doveva essere potente, doveva sapersi districare in un mondo di potenti. Dovevano conoscere e comprendere il passato per tracciare il futuro. Certamente Rodrigo Borgia era ben consapevole della storia, come lo era Giuliano della Rovere. Un altro punto da sottolineare è che questi personaggi  avevano il denaro per accumulare beni artistici – o il potere di rubarli ai paesi e ai sovrani che avevano sconfitto. Il bottino di guerra ha iniziato, o rafforzato, molte collezioni che oggi onoriamo. Eppure, se mi stai chiedendo se, l’essere colte, ha reso queste persone migliori o peggiori, direi che la cultura non è mai andata di pari passo con la gentilezza. Un uomo può essere un mostro anche se sa apprezzare una statua greca. E molti  di questi uomini erano spinti da ferocia  e ambizione: Savonarola non era meno tiranno di Alessandro VI. Sono nati in tempi in cui non pagava la bontà e invece fioriva la crudeltà. Ma ciò nondimeno tutto il sangue versato non impedì, né ostacolò il Rinascimento.

MilanoNera ringrazia Alex Connor e Newton Compton per la disponibilità.

Patrizia Debicke

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