Un titolo da paura. Se cominciamo a pensare che le pietre sono il simbolo del passare del tempo basta immaginare quanto abbiano “visto” passare, rispetto alla vita umana. Sappiamo che le pietre sono pressoché eterne e probabilmente saranno ancora qui quando il genere umano non esisterà più… Poco male, mi dico girando la prima pagina. Sapete, sono in fase di lettura di saggi, di mentali ricostruzioni che quello che stiamo vivendo o è già passato e di cosa mai ci regalerà il futuro e quindi mi rilasso. Epperò tranquilli. “ il tempo fa le pietre”. come sostiene Alfonsina, suocera di Alma, ospite in una lussuosa clinica di riabilitazione dopo la felice sostituzione di una valvola. Insomma, un specie di metafora per definire come distrarsi e passare del tempo un po’ noioso? Tranquilli, sono pietre che non servono a sfondare teste. Vero che il tempo fa le pietre, poi però magari arriva anche il momento in cui pian piano le distrugge e tu puoi sbattere tranquillamente via la terra che resta.
Dopo il titolo che mi aveva un tantino aggrondata, passiamo all’attacco geniale! Ma non mi aspettavo niente di meno da Valeria: riporto, e di proposito, le sue testuali parole che giudicherei subito allo stesso tempo una presentazione e un passaporto:
«La Rouge si stacca dal pilastro e ondeggia sulle zeppe fino al bordo del marciapiede. Ha freddo. Siamo a maggio e fa un freddo maledetto. Un clima balengo, frutto di un mondo balengo che genera umori balenghi. Che già di per sé la primavera non brilla di coerenza, ma ormai è seguita a ruota da inverni trasformati in eterni autunni, mimose che sbocciano a gennaio, estati da forno crematorio e, appunto, primavere artiche a strapazzare gemme e germogli con nevicate fuori tempo e grandinate da lapidazione.»
Zac! Bacchetta magia e così avete subito idea di com’è Valeria e di come scrive. Una persona che si è sempre nutrita a colazione e a cena di comprensione e senso dell’humour con le sacrosante maiuscole. Insomma, una narrativa tutta sua: un raccontare scandito da un ritmo particolare, parlante, che dando voce e corpo a pensieri riesce a scatenare la curiosità di chi legge. Ho detto e ripeto ritmo “parlante” ma contemporaneamente acuto e riflessivo, con tutti i suoi personaggi in costante intimistico confronto/scontro con se stessi. E poi perché di chiunque e di qualunque cosa scriva, lascia trasparire coraggio e pudore, inveterato buonsenso, voglia di divertire e a conti fatti di aggiustare le cose. Ma ora basta, torniamo al libro perché questo è il mio compito ora: parlarvi e scrivere del libro di Valeria.
Dunque, dal passeggiare di una decorosa battona di mezz’età dai capelli rossi, insomma di quelle di tutto riposo con clientela fissa affezionata per la quale è un po’ tutto, da confort umorale a confessore, si passa in un lampo allo squillare del telefono all’alba che sveglia di botto Jules Rosset, ispettore capo di polizia, valdostano fino al midollo, intuitivo e intelligente ma spigoloso, scorza dura e cuore d’oro (lo tradisce l’adozione del gatto Moriarty). Tutto d’un pezzo, non accetta i compromessi ma, per sbrogliare un caso, dimentica persino le regole. Trasferito a Chiavari per star più vicino al figlio Alberto dopo che la ex moglie, ligure e medico ortopedico, l’ha piantato dopo quasi vent’anni di matrimonio ed è tornata al suolo natio. Ma di Jules Rosset abbiamo ridetto anche troppo perché oggi il suo problema è quella antelucana sveglia che l’ha immediatamente costretto a recarsi nella stazione di Chiavari dove è stato raggiunto dal suo vice il rosso e vichingo sovrintendente Solari. Stazione di Chiavari dove è stato trovato tra i binari, dilaniato dal treno merci delle 4.43 il corpo di un uomo cinquant’anni circa e , a giudicare dai resti, molto curato e ben vestito. A detta di quanto riportano i documenti rinvenuti nel portafogli pieno (e quindi non si tratta di furto) il morto si chiama Claudio Giraudo ed è residente a Monforte d’Alba. Secondo il macchinista del merci veloce che ha suonato, frenato insomma, tentato a tutti i costi di evitare il fatale impatto, Giraudo stava immobile, inginocchiato sulle rotaie ,pareva quasi in preghiera. E dunque parrebbe un suicidio ma perché? Santa pace e perché mai questo Giraudo che presto verrà fuori era il proprietario di un’affermata azienda vinicola avrebbe scelto di suicidarsi? E perché proprio a Chiavari?
Epperò qualcosa non quaglia, perché appena l’ispettore capo Jules Rosset si appresta ad avviare l’iter per un caso di suicidio, può constatare subito di persona che l’atmosfera domestica del defunto, traducasi moglie del fu Giraudo, non pare sia girata al dramma. Poi un imprevisto uccellino comincia a cantare e visto che canta un po’ stonato spinge Rosset a tampinare Calabrò, l’amico anatomopatologo. E.. e… intanto sul dimezzato cadavere del suicida salta fuori uno strano particolare da far rizzare le orecchie. Anche perché a complicare ,e parecchio, la situazione arriva una chiamata dell’Alfonsina, suocera di Alma, da due anni ehm “collaboratrice dell’ispettore capo, la bella mezzosangue dalla carnagione ambrata, madre di due coppie di gemelli – piantata da marito che si è rifatto una famiglia in Australia – e che, nonostante l’istruzione superiore, fa la colf per star dietro ai figli. Dicevamo una chiamata, traducasi acuta segnalazione, di Alfonsina la colta vedova, fan del metodo lombrosiano, donna sopra le righe che, nonostante la non verde età, usa tablet e computer quasi come un hacker, attualmente ricoverata nel centro di riabilitazione cardiologica.
Segnalazione che vedi caso mette una pulce nell’orecchio al nostro Rosset e lo costringe a una maratona allargata nella langhe per scavare meglio e più a fondo. Ma la questura preme per chiudere il caso e la procura invece, stuzzicata per benino, chiede lumi per approfondire meglio. Insomma, una specie di intrico che vede abilmente miscelate e in caccia, convalescenti aspiranti investigatrici, lucciole di buon cuore, e coraggiose scelte di vita . E dunque grazie anche all’occhio lungo e decisivo di Alma, Jules Rosset arriverà alla verità. Un verità che si allarga fino a tracimare addirittura oltreoceano.,
Ma queste sue ultime settimane di vita e di lavoro hanno creato per lui una baratro tra ciò che era il “prima” e quello che dovrà diventare il dopo: Forse finalmente ha ripreso in mano la sua vita, epperò adesso che ha incoraggiato Alma a fare le sue scelte, francamente è un tantino frastornato. Oddio, tranquilli, magari ha solo bisogno di tempo, perché se il tempo fa le pietre, saprà anche smussare gli spigoli sgombrare gli animi dai dubbi, anzi meglio spazzarli proprio via.
E se dunque siamo in chiusura con le avventure delle colf e l’ispettore, le avventure di Alma e Jules! Uffa, che rabbia! E tuttavia non credo che Valeria sbagliasse nel porsi all’inizio questo limite. Sei romanzi, sei gialli da manuale, sei puntate di vita in cui l’autrice ha dato molto e i suoi personaggi si sono funambolicamente scambiati. Abbiamo avuto vicende locali soprattutto e un po’ meno… Di loro ormai sappiamo molto. Insomma, tutto? Per lo meno quasi. Che strano leggere la parola fine e pensare che sì, è giusto in fondo in qualche modo tutto, compresi i morti ammazzati, ha trovato il suo giusto posto in cui andarsi a incastrare. Tutto torna? Difficile inventare altre storie, voglia di altri lidi, altre idee. Beh, si forse… Oppure? Come lei scrive, come il suo Sean Connery il grande Bond, non ha ancora finito di dirci la sua. E quindi mai dire mai!
Il tempo fa le pietre – Valeria Corciolani
Patrizia Debicke