Nei giorni che precedono la finale del Premio Scerbanenco e l’inizio ufficiale del Noir In Festival, Milanonera, in veste di mediapartner ufficiale, pubblica ogni giorno recensioni ai libri presentati e interviste ai finalisti e gli ospiti. Oggi vi riproponiamo la recensione di È stato breve questo nostro lungo viaggio, di Elena Mearini, finalista al Premio Scerbanenco
«Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio» Eugenio Montale. Elena Mearini sceglie un titolo che segnala con lucidità il suo inquieto dividersi tra parole e rime che ha sempre contraddistinto la sua carriera letteraria.
Scendere le scale dandosi il braccio è la frase usata da Montale come simbolo di una vita a due, dell’aiuto che due persone che si amano si danno giorno dopo giorno. Frase seguita dalla voluta iperbole del milione di scale che sottolinea quella lunga parte di vita passata dal poeta accanto alla moglie. Poi: «Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio» che indica il senso di smarrimento, di solitudine e di vuoto dopo la sua morte… E la scelta di evasione di Cesare, il protagonista della trama, per lui solo breve, ma carnalmente intenso e sfortunato viaggio a due sarà la trasgressione, il segreto, la chiave di volta del destino, fino a diventare la sua implacabile condanna. Un uomo che vive nel fragile equilibrio di un proprio ideale mondo fittizio, con il volto nascosto da una maschera a coprire la sua pochezza, la sua disciplinata dipendenza dai clichè impostigli dal padre, dal mondo e dalla famiglia ma che, convinto della propria inadeguatezza soffre per il suo senso di vuoto. Lui Cesare Forti, cinquant’anni, è un uomo che dalla vita sembra abbia tratto solo il meglio. Ha case meravigliose, uno staff di servizio che funziona come un orologio. E naturalmente una splendida moglie Margherita, sempre al suo posto, elegante, e in grado di dire agli altri solo ciò che vogliono sentire. Ah i due hanno una figlia Maya, una bambina, la loro coccolata principessa. Cesare è l’uomo di cui ogni donna non può che innamorarsi. Bello, ricco, affascinante, si muove nel caotico traffico milanese al volante della sua Bentley, Accessibile ma inarrivabile. Nel suo ambiente di lavoro è considerato un maestro. La sua corte, dipendenti, colleghi, amici seguaci credono nel suo mito di uomo arrivato, sicuro, granitico. Ma questa facciata perfetta nasconde un’invisibile crepa che rischia di allargarsi. Cesare Forti non è quello che sembra, la sua forza non esiste, la sua immagine pubblica e privata è una maschera basata solo su un castello di carta, un trucco di magia, un bluff che a ogni momento: pouf… e rischia di disintegrarsi in un soffio. Elena Mearini non gli concede venia, lo spoglia senza pietà dei suoi orpelli e lo costringe a specchiarsi con il suo vero io e a fare i conti con sé stesso, con un perfetto mondo paranoico fatto di falsità, e dove la falce in mano al cupo mietitore l’aspetta al varco. Cesare incontra Alma. Una donna, anzi una ragazza giovane, sconosciuta, imprevedibile, un giocattolo, un qualcosa che esce dai ferrei binari tracciati nella sua vita. Il colpo di fulmine, il carosello di sotterfugi. Gli appuntamenti a sorpresa, le bugie da dire a Margherita. Poi d’aprile il desiderio che brucia e fa male. Dopo saranno una donna e un ragazzino a mettere Cesare Forti con le spalle al muro e costringerlo a rivelare la sua verità. Una disgraziata morte seguita da uno strano e possessivo ricatto metteranno il protagonista con le spalle al muro. Calata la maschera, per la prima volta Cesare esibirà il proprio, nudo volto di figlio cresciuto con prepotenza, senza amore. Il volto di un uomo insoddisfatto, ma che deve riuscire a confrontarsi con la realtà e ad accettare un sofferto rodaggio per imparare a essere padre. E forse è proprio questo è quanto Cesare voleva: essere amato, guardato, ascoltato per ciò che era davvero. Un noir molto particolare. Dove la storia gialla, esile e sofferta, diventa la migliore giustificazione per portare avanti una trama profondamente introspettiva e giocata tutta su sottili e dolorose sfumature che accompagnano l’accettarsi e crescere psicologicamente e moralmente del protagonista. Un romanzo complesso e che intimorisce. Troviamo molta disperazione e rinuncia nelle sue pagine. Alcune, cupe e nere, parlano di morte. Ma non solo fisica, anche squisitamente simbolica che brucia gli affetti, le speranze, il futuro? Forse, perché tutta la trama gira intorno a una specie di messa in scena teatrale. Ma il teatro è solo spettacolo e la realtà un’altra cosa.
Ricordiamo a tutti che i cinque finalisti saranno presentati il 4 dicembre alle ore 18.30 presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano.
Il Premio Giorgio Scerbanenco 2017, consistente in un ritratto di Giorgio Scerbanenco ad opera dell’artista Andrea Ventura, verrà consegnato la sera del 4 dicembre all’Anteo Palazzo del Cinema alle ore 21.