La stagione del pipistrello – Loriano Macchiavelli



Loriano Macchiavelli
La stagione del pipistrello
Mondadori
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La stagione del pipistrello di Machiavelli per Milanonera

Non so spiegarvi perché dovreste leggere questo romanzo. So perché l’ho scritto.”

E ancora: “L’atto più rivoluzionario che si può fare è lasciare. Ho iniziato a scrivere romanzi popolari per cambiare il mondo, ho fallito. Poi mi sono detto: “Non puoi mettere la pietra tombale sul tuo noir senza che i lettori lo sappiano. Così è nato questo libro, l’ultimo tentativo di scrivere un noir come lo intendo io.

Così Loriano Machiavelli padre del noir italiano in un’intervista in cui ha presentato “La stagione del pipistrello”, l’ultima indagine della Compagnia della malora e del suo questurino, il sergente Sarti Antonio (grado che in Polizia non esiste più da tempo), il cui esordio risale al 1974.  Il romanzo è arrivato in libreria accompagnato da una riflessione sul noir che dopo 48 anni e 21 romanzi da cui è stata tratta la serie tv con Gianni Cavina, ai lettori del Macchia è suonata come un addio. 

L’epilogo di Sarti Antonio, dunque, per il prolifico autore bolognese? O piuttosto la voglia di scuotere una società diventata impermeabile all’azione catartica della letteratura noir?

Di certo il pessimismo di fondo traspare dai dialoghi dei personaggi e dalle loro storie, mentre nuove destre avanzano, vincono le elezioni e prendono il potere, legittimando un’ideologia che credevano sepolta. E alla fine, sconfortati, i nostri commenteranno: “C’erano i segni premonitori: sfilate, addestramento in palestra, raduni, ronde, esposizione di simboli, continui richiami alla fede, al coraggio e allo sprezzo del pericolo, all’eroica e nobile morte per la patria e per una giusta causa. Nessuno si è preoccupato, nessuno ha disturbato il progetto che chiaramente si andava definendo. Ci aggiungiamo la mancanza di una profonda cultura della Storia e di una ideologia democratica come dovere sociale. E i benpensanti a disquisire sull’impossibilità di un ritorno del nazismo. Ridicola giustificazione.”

Una visione cupa, a tratti apocalittica per uno dei padri del noir italiano che 1990, insieme a Marcello Fois e a Carlo Lucarelli, diede vita alla cosiddetta scuola bolognese con il gruppo 13. 

Il noir –sono ancora parole del Macchia- è un genere nato per contrapporsi, per destabilizzare, per mettere a nudo una società dove la ricca borghesia sopravvive e prospera grazie al delitto, dove quasi mai il potente di turno viene condannato. In Italia è diventato un genere consolatorio“.

“La stagione del pipistrello” è ambientato in una Bologna post Covid, da qui il pipistrello del titolo. La città cerca di risollevarsi dalla pandemia mentre scorrazzano bande neonaziste e sbirri senza morale né etica. Una realtà fatta di violenza, sopraffazione e nuove droghe sintetiche. Le indagini prendono avvio dal ritrovamento del cadavere di un uomo in mezzo ai cumuli di rifiuti. Ma nulla è come sembra. L’uomo non è morto e in ospedale, quando Sarti si ritrova di fronte la vittima, scopre che si tratta di una donna che indossava abiti da uomo. Una donna che lui ben conosce, la Biondina, che esercita il mestiere più antico del mondo nel suo appartamento nel centro storico. I medici l’hanno registrata come Fiorenza Malvezzi, ma Sarti l’ha sempre conosciuta col nome di Felicità Corradini.  La Biondina lotta tra la vita e la morte, imbottita di profetanyal, una porno droga sintetica di ultima generazione partorita dall’industria chimico-farmaceutica i cui effetti sono cento volte più forti del fentanyl e della morfina. 

Il dottor Ibrahim, chirurgo dell’ospedale Maggiore di Bologna, nel prendersi cura della donna, scoprirà sul suo fondoschiena un tatuaggio appena eseguito, un cerchio con all’interno una croce nera e una sigla. La Biondina è stata stuprata, drogata e abbandonata come una cosa rotta, senza importanza rifiuto tra i rifiuti. Le indagini di Sarti Antonio lo coinvolgono emotivamente e il nostro questurino si muove tra teste rapate e fisici palestrati, giovinastri col culto dei muscoli e la croce teutonica tatuata sui bicipiti. Una città corrotta, sporca e violenta. Le indagini di Sarti intrecceranno nazionalismi, alta finanza e una multinazionale che si occupa di farmaci, l’Eldorado dei giorni nostri e porteranno a un epilogo amaro, come nei migliori noir che si rispettino, a conclusione di un signor romanzo. 

Loriano Machiavelli padroneggia da par suo gli ingredienti del genere, con perizia, e tratteggia impietosamente la realtà che stiamo costruendo. Come un buon romanzo noir deve fare.

Eppure proprio il Macchia nella sue riflessioni, incalza: “C’è da chiedersi se il noir serva ancora per raccontare il nostro mondo. La mia risposta è no. Almeno non come è ‘scritto’ oggi dalla gran parte di scrittori (e nella lunga lista mi ci metto anch’io). Il noir non preoccupa più nessuno e che non trovi più denigratori; che in giro non ci siano più saggisti e critici che storcono il naso all’invasione della letteratura ‘barbara’; che sia accettato con entusiasmo; che trovi ovunque ferventi ammiratori anche fra coloro che per anni lo hanno osteggiato e denigrato; che tappeti vengano distesi davanti e dentro le università all’ingresso di scrittori diventati improvvisamente di serie A e poi apprezzati opinionisti. Questo e altro, mi fa riflettere. Il prossimo noir lo stiamo scrivendo tutti noi, abitanti della terra, col sangue e sulla carne di migliaia di persone, vere, purtroppo.”

Roberto Mistretta

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