Città in rovine – Don Winslow



Don Winslow
Città in rovine
HarperCollins
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Ebbene, è successo! Per gli estimatori di Don Winslow è giunto il momento di rinunciare alla lettura di nuovi romanzi, perché lo scrittore statunitense, considerato tra i più rappresentativi del poliziesco americano contemporaneo, ha dato addio alla scrittura.

In un modo anche commovente, in calce al romanzo, citando e ringraziando tutte le persone che lo hanno aiutato in molti anni di carriera: dai librai alla famiglia; dagli editor alle case editrici; dagli amici ai colleghi.

Con Città in rovine (HarperCollins Italia, aprile 2024) termina anche la trilogia dedicata a Danny Ryan, l’ex impiegato portuale, membro della mafia irlandese, braccato e costretto alla fuga, che abbiamo visto cadere e rialzarsi diverse volte, grazie a uno spirito indomito. E all’indole di “gentiluomo” sempre fedele alla parola data, nonostante abbia avuto a che fare con la peggiore feccia di malavitosi del pianeta.

Dopo la fuga in auto, col padre anziano e il figlio piccolo, Ryan torna a prosperare, diventando un magnate dei casinò di Las Vegas e socio di un gruppo che possiede due hotel di lusso. Col cuore stretto tra il ricordo dell’amata moglie, morta di cancro, e una stella del cinema, venuta dopo, che si è suicidata, Ryan potrebbe anche ritrovare la stabilità sentimentale con un’insegnante che gli lascia i suoi spazi.

Procede tutto bene, dunque. Il figlio Ian cresce e ha già dieci anni, aiutato dalla madre di Ryan, che gioca sempre un ruolo fondamentale, tipo la “cartina tornasole” della coscienza del figlio.

Ryan commette però un errore. In un romanzo che si presenta corale e dove Don Winslow mette in scena le sventure di diversi altri personaggi, del presente e del passato, sempre legati alla malavita e attinenti col percorso del protagonista, è chiaro che egli non avrà vita facile. E proprio quando si intestardisce ad acquistare un hotel, per farne un resort che a lui piacerebbe chiamare il Sogno, un rivale, che ha contatti loschi quanto potenti, lo ostacola in ogni modo, mettendo a repentaglio la sua stessa vita e quella dei suoi familiari. “Il concetto di “abbastanza” non esiste a Las Vegas, una città esagerata dove il troppo non è abbastanza, il successo è l’eccesso e il di più è sempre meglio.”

Sembra quindi di essere tornati al passato, quando Ryan doveva guardarsi costantemente le spalle, girava armato e usava sovente il “ferro”. Danny deve ancora una volta combattere, per difendere tutto ciò che ama, dovesse anche fare i conti con le rovine delle sue speranze andate in fumo.

Quel che più attrae nei romanzi di Winslow, di impronta prettamente hard boiled, è lo stile cinematografico. Dalla frasi incisive, brevi. Sembra di vedere un film e le pagine scorrono, senza che il lettore abbia fatto alcuna fatica. La storia invoglia a proseguire, una scena tira l’altra. Da non sottovalutare la buona intesa col suo traduttore italiano Alfredo Colitto.

A discapito di chi è fissato sul tenere il punto, riferito alla scrittura, Winslow non se ne cura minimamente. Salta anni, anche in uno stesso paragrafo, i personaggi si trovano ad affollare le scene, magari anche tutti insieme. Perché ha trovato un modo valido per essere credibile. La vita è caos, le persone parlano non in modo ordinato, ma, citando il famoso stream of consciousness tanto caro agli inglesi, essi fanno contemporaneamente pensieri diversi e talvolta incoerenti, perché presi dal panico e da quanto stanno vivendo. L’autore crea altresì paragrafi di poche righe, dice l’essenziale.

Per questo, Don Winslow mancherà. Soprattutto a chi ama scrivere, perché insegna la linearità, a dire le cose in modo semplice. Una maniera molto apprezzata dal lettore.

Grazie di tutto, quindi. Il suo addio è triste, un ringraziamento è dovuto. 

Cristina Biolcati

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