Con piglio narrativo cinematografico (come dimenticare il colossal americano Il gladiatore di Ridley Scott, interpretato da Russel Crowe e vincitore di ben cinque Oscar) Simone Sarasso mi sorprende e mi interessa con il suo lucido Colosseum, un colto romanzo d’avventura che a tratti sa trasformarsi quasi in un accurato saggio storico. All’epoca il grande circo, voluto da Vespasiano e completato da suo figlio Tito, il Colosseo, era detto l’Anfiteatro o meglio Anfiteatro Flavio, ma Sarasso giustifica il titolo perché solo Colosseum, il soprannome medioevale dovuto alla vicinanza della colossale statua del Dio Sole, riesce a scatenare nelle nostre menti le immagini di ludi circensi con belve d’importazione, sacrifici, supplizi e feroci combattimenti tra gladiatori. Sarasso, rifacendosi all’epigramma di Marziale sul sanguinoso scontro tra Vero e Prisco (nel suo De Spectaculis) regala un passato e una storia al giovane britanno Calcagos (colui che possiede la spada) predestinato dal nome, catturato, reso schiavo e cavatore dai romani e poi ribattezzato Vero. Miracolosamente sfuggito alla distruzione di Pompei (bello il cammeo sui Plinii, zio e nipote), il giovanotto, ancora schiavo, passerà al servizio del marinaio Marzio, costruttore del velario per proteggere il pubblico del Colosseum dai dardi cocenti del sole fino all’arrivo a Roma, l’Urbe, sogno mirabolante ma che affoga nel fango e si rotola nei vizi dell’impero. A Roma verrà inglobato nella squadra della Talpa che crea le fondamenta e i pilastri dell’Anfiteatro, costretto a scontrarsi con le politiche (nel senso di astuzie e scorrettezze) dei rivali e conoscerà Prisco un gallo taciturno, dagli occhi di ghiaccio. Nel cantiere aperto non si parla che di giochi e gladiatori e la mente di Vero vola. Accade il quid … La visita di Decimo Irzio, lanista toscano del Ludo Argenteo, scuola di schiavi. Vero attacca Prisco, si battono a sangue, vengono scelti e comprati e un’amicizia si salderà. La loro nuova strada è tracciata con tutte le tappe dell’inferno degli allenamenti da superare per diventare gladiatori. Ma la peste è in agguato, la morte semina il terrore, fa strage e l’Urbe si trasforma in uno spaventoso cimitero a cielo aperto. Ma l’Anfiteatro, l’immane opera a gloria di Tito imperatore, deve andare avanti. Poi Giulia, la figlia del divino, dell’imperatore, amante e moglie mancata per un pelo di Domiziano, suo zio, s’intrometterà tra Vero e Prisco, novello e spregiudicato pomo della discordia. Dopo la peste, il nuovo incendio di Roma sfibra gli ultimi mesi di Tito, destinato a morire poco dopo la fine dei cento giorni di ludi circensi. Prisco lascerà Roma per Capua… Ma ad agosto dell’ 80 d.c. tutto è pronto per il primo giorno, l’inaugurazione dell’Anfiteatro. L’imperatore Tito, sua figlia Giulia e il fratello ed erede Domiziano sono sul palco. Con loro il poeta Marziale per cantare lo spettacolo. Nell’arena dopo le lotte tra animali, le esecuzioni, la feroce naumachia, i duelli tra gladiatori e, gran finale, il combattimento clou della giornata: lo scontro all’ultimo sangue tra Vero e Prisco, colui che lo ama non ricambiato dell’amore che legava Achille a Patroclo, ma lo stesso il suo unico amico. Lascio volentieri a Marziale il compito di raccontarvelo.
« Mentre Prisco continuava a prolungare il combattimento, come Vero, e durante la lunga lotta equilibrata, venne chiesta la liberazione dei valorosi lottatori con potenti e frequenti grida; ma Cesare obbedì alla propria lege (secondo la regola, una volta che la palma era stata alzata la lotta doveva continuare finché non venisse sollevato un dito): fece come gli era permesso, salvando i combattenti. Di nuovo, venne trovato un esito per il combattimento, avevano combattuto alla pari, ed alla pari sarebbero stati premiati. Ad entrambi Cesare donò la spada di legno e la palma: così il coraggio e l’abilità ricevettero una ricompensa. Questo non era mai successo con nessun imperatore tranne te, Cesare: due uomini hanno combattuto e due uomini hanno vinto.» Marziale De Spectaculis 48