La porta del paradiso



Alfredo Colitto
La porta del paradiso
piemme
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ANTEPRIMA MILANONERA. Da domani in libreria.
Con un piglio da feuilleton, degno del miglior Victor Hugo, Alfredo Colitto cambia in corsa marcia e secolo, lascia a Bologna gli alambicchi del suo Mondino e mette il timone su nuovi lidi: il Vicereame di Napoli e il Messico, nella Nuova Spagna, a quei tempi un altro mondo lontano, periglioso e poco noto. Con disinvoltura e bella prosa, il nostro sa scrivere eccome, ci regala una trama avvincente, a tratti strappalacrime, ma carica di contenuti e intenti sociali, che l’attualizzano e ce la rendono spaventosamente vicina. Infatti, con il suo La porta del paradiso, romanzo storico classico, ci narra d’amore, d’avventura, di sofferenze e disgrazie ma anche di efferata sopraffazione, di terribili ingiustizie e di bieca, incontrollabile corruzione. Napoli, 1637, mentre in Europa infuria la guerra dei trent’anni… I Baiamonte, famiglia di piccola nobiltà originaria della Sicilia, vivono a Napoli nel palazzo avito, preparandosi alle nozze dei due figli Leone e Concetta, ignari che la nemesi sta per piombare sulle loro teste. Nemesi impersonata da un lontano cugino, Giorgio Terrasecca, notaio e usuraio, che rimprovera ai Baiamonte terribili torti, agogna vendetta e mira solo alla loro rovina economica. Diversamente dal padre dedito solo agli studi, che è sopraffatto dalla vergogna, il primogenito Leone, ventitreenne bello, sicuro e impetuoso, prende l’iniziativa e va a chiedere spiegazioni al parente. Ma invano! È troppo tardi per evitare il disastro. Anzi un disgraziato duello con il figlio del notaio che provocherà la morte del giovane, susciterà l’odio fatale del padre e la condanna di Leone Baiamonte per il delitto. Deve fuggire, lasciare a Napoli l’amata fidanzata e imbarcarsi fortunosamente su un galeone spagnolo diretto in Messico, dove uno zio missionario ha scoperto una miniera d’argento, con solo la speranza di poter diventare ricco per tornare e salvare la famiglia dalla povertà. Ma, durante il viaggio e in seguito, per dieci lunghissimi anni, gli intrighi vendicativi di una bella spagnola, l’amore per una dolcissima indigena dagli occhi di velluto e le infami macchinazioni della potente chiesa cattolica locale lo costringeranno a battersi contro tutti e tutto, mentre a Napoli i suoi cari sono ridotti all’ignominia e all’indigenza. Il suo rientro in patria coinciderà con la rivolta di Masaniello, provocata dalle inique gabelle imposte ai poveri per ripianare le finanze spagnole stremate dalla guerra e dalla ignobile e inusitata corruzione dei governanti locali. Lo seguiremo trepidanti a vivere le ultime ingiuste vessazioni, ad appoggiare le lotte contro i potenti, a soffrire l’effimera inutilità del successo della ribellione napoletana ma per poi arrivare a un meritato e liberatorio lieto fine… e alla porta del paradiso. E non mi si venga a dire che lo scrivere d’amore e d’avventura sia solo letteratura minore e d’intrattenimento. L’Ariosto e il Tasso cosa facevano?

patrizia debicke

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