Il mio nome è Nessuno



Valerio Massimo Manfredi
Il mio nome è Nessuno
mondadori
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Mi è piaciuto leggere la straordinaria realtà di questa Odysseide di Manfredi, con la grande impresa degli Argonauti a fare da cornice e filo conduttore e, in veste di protagonista, un Odysseo ben diverso da quello che avevo incontrato nel mio primo lontano omerico impatto sui banchi di scuola. Mito fantastico coinvolgente, favola, leggenda narrata, tramandata a voce e ora messa per scritto, si fa autobiografia, storia vera, tangibile. I primi passi, l’infanzia, la serena conoscenza della vita, raccontati in prima persona dal figlio di Laerte re di Itaca, Odysseo: nome che significa alla stesso tempo colui che odia o colui che si fa odiare, ma anche Nessuno. Un nome duro da sopportare, assegnatogli dal magnifico re Auyolykos detto il lupo, suo nonno, padre della regina Anticlea, sua madre. Nonno che contribuirà al suo passaggio dall’adolescenza al farsi uomo e l’obbligherà alla scelta di tre animali che segneranno il suo destino. Al ritorno a Itaca il nipote dovrà dirli alla madre. Saranno: toro, cinghiale, ariete. Forse la chiave della vita e della morte? Pagina dopo pagina, impotenti, inquieti e increduli ma avvinti dall’avventura, assistiamo alla spettacolare scenografia e tragedia messa in scena da VMM, mentre tentiamo di convincerci, come bambini al cinema, che quello che scorre turbinosamente davanti ai nostri occhi è succo di pomodoro e non sangue. Che si tratta solo di finzione. Quando il sipario si chiuderà gli splendidi eroi, che abbiamo pianto morti, si rialzeranno e verranno a inchinarsi per raccogliere gli applausi… Manfredi ci fa vivere la crescita fisica e mentale di Odysseo, ci fa percepire la sua consapevolezza di essere mentalmente diverso. E il lungo viaggio di iniziazione, di erudizione e di conoscenza in compagnia del padre metteranno in evidenza la sua capacità di analisi e il suo eccezionale acume. La sua intelligenza è superiore. Persino la bella Elena, che se ne accorge, cade preda del fascino del suo spirito. L’abdicazione del padre Laerte lo fa re di Itaca, ma non lo fermerà. Odysseo che si crede marito, padre felice e uomo di casa, ha davanti a sé un diverso destino, da vero e unico personaggio principale. Chi se non lui, infatti, con l’artificio di imporre a tutti i pretendenti di Elena di Sparta, chiunque lei avesse scelto fra loro, di difenderla e proteggerla sempre ha provocato la guerra di Troia? Eletto crudelmente dal fato quale burattinaio della tragedia, non si risparmierà e, su richiesta di Menelao, l’accompagnerà a Troia nello sterile tentativo di scongiurarla. Poi farà il possibile, ogni tentativo per fermare la guerra anche per l’etica consapevolezza della differenza tra attaccanti e attaccati. Gli Achei si battono in nome di un giuramento e di un principio, mentre i Troiani per la difesa delle loro famiglie, delle loro case, della loro vita. Il dramma volge alla fine, il Fato non concede tregua, gli Dei si schierano volubilmente o si battono tra loro, coinvolgendo i mortali. Odysseo ha un grande atout dalla sua parte, la tremenda Pallade Athena, la Dea che per lui si trasforma in madrina multiforme, guardiana, civetta dagli occhi cerulei. Ma la guerra non si ferma e, con gli eroi morti dalle due parti che non si contano più, si fa irrimediabilmente tragica, fatale. Poi l’inganno geniale, l’immane cavallo di legno, e la fine, la totale distruzione di Ilio, la bella Troia, la perla del golfo. Mentre aspetto il seguito della storia, azzardo un’interpretazione sui tre animali che segnano il destino di Odysseo. Il cinghiale credo fosse quello che lo ferì adolescente la prima volta che cacciava con il nonno e gli insegnò a non fidarsi di nessuno. Il toro, immagino, quello sacrificato a Sparta per il giuramento dei pretendenti di Elena e l’ariete… il preziosissimo arco fatto di corna d’ariete, donatogli dal nonno a vent’anni, che non l’ha accompagnato nella guerra di Troia ma l’aspetta a Itaca pronto a nuove possenti avventure.

patrizia debicke

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