Il 23 luglio 1991 il mondo intero scoprì gli indicibili crimini di Jeffrey Dahmer, il serial killer più crudele di tutti i tempi. Fu uno shock terribile, soprattutto per i genitori di Jeffrey. In queste pagine, Lionel Dahmer cerca di ricostruire con metodo quasi scientifico i primi segnali e le cause prodromiche della psicosi del figlio, esaminando i fattori che potrebbero aver contribuito alla follia e ripercorrendo alcuni dei momenti più importanti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il racconto straziante di un padre, una testimonianza commovente e allo stesso tempo disperata che dipinge un’immagine vera e totalmente inedita del Mostro di Milwaukee.
Che sarebbe stato un pugno nello stomaco si sapeva sin da quando nel 1994 fu pubblicata la prima versione di “A Father’s Story”. Ma che la storia del Mostro di Milwakee raccontata dalla persona che più di tutti aveva cercato di entrare nella sua mente, pur non essendoci mai riuscito di fatto, vi condurrà nei meandri della vita di uno dei più efferati serial killer della storia – stupendovi – era inaspettato.
Ho letteralmente “divorato” e scusate il termine considerato il soggetto (Jeffrey Dahmer non solo uccise 17 uomini ma di 12 ne divorò parti del corpo, congelandone altre) questo testo in meno di due giorni. Il racconto di un padre al limite tra l’amore filiale e la sofferenza per non aver potuto comprendere fino a che punto si sarebbe spinto il figlio, la meticolosità quasi scientifica dei racconti degli episodi dell’infanza, spesso inediti, del mostro prima che diventasse tale, il buio di vite vissute al limite della vacuità dei sentimenti. In questo racconto che esplora la mente umana e quella parte della mente che più ci interessa, ovvero il male, c’è tutto.
Imparerete a conoscere un Jeff bambino specchiato nei ricordi di Lionel, in quegli stessi atteggiamenti che avrebbero potuto condurre persino il padre nell’abisso, ma che non lo hanno fatto, forse per merito di un modo diverso di affrontare le angosce e i problemi da parte di suo padre e di sua madre. Forse soltanto perché Lionel non era stato così presente nella vita del figlio da poter “prevenire” che cadesse nell’abisso.
Il racconto della parabola discendente del figlio è specchio di quello della fine del matrimonio con Joyce, madre fragile e malata, forse punto focale di tutto per Jeff.
Il padre, che si pone domande quando inizia a scoprire fin dove è arrivato il figlio, è la normalità. Ma il padre che si dà come risposta non tanto la sua assenza, la malattia della mamma, la separazione, ma la genetica, questo non è normale e non lo assolve dalle sue responsabilità rendendolo persino vacuo e non empatico proprio come il figlio. Lionel ama suo figlio al di là di tutto perché è suo figlio e null’altro. Ma non basta. Per quello Lionel arriva ad accusare sé stesso da bambino, i suoi comportamenti “strani” e assurdi (come la passione per i piccoli roghi), per giustificare Jeff e soprattutto giustificare di non aver capito che i comportamenti di suo figlio, che collezionava scheletri di animali e li smembrava sin da piccolo, non erano gli stessi.
Io credo che il pugno nello stomaco per il lettore arrivi proprio alla fine, quando Lionel non riesce a capire che forse Jeff è scivolato nel baratro, perché era totalmente solo e lo era sempre stato.
Che lui, il padre, non c’era come avrebbe dovuto, come lo era stato suo padre con lui. Che soprattutto lui non aveva voluto ammettere cosa stava per accadere o stava accadendo al figlio.
In un intreccio tra descrizione meticolosa e chirurgica dei fatti che portarono alla condanna e poi all’uccisione in carcere di Jeffrey e descrizione dei sentimenti suoi di padre prima di tutto e soltanto, questo macabro e reale racconto vi terrà incollati alle pagine.