Come cavare un ragno dal buco



loriano macchiavelli
Come cavare un ragno dal buco
leonardo
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Un nuovo romanzo di Macchiavelli fa parte delle cose buone in cui speriamo un giorno o l’altro di imbatterci di nuovo; un incontro sempre piacevole, come quando in fondo alla strada scorgiamo un amico che non vediamo da tempo. L’ultima fatica è un romanzo per ragazzi e adulti illustrato dai magnifici disegni di Otto Gabos (alias Mario Rivelli). Dire illustrato è forse riduttivo perché le illustrazioni sostituiscono talvolta le descrizioni di eventi di cui sono protagonisti tre ragazzi, diventando parte integrante della storia stessa. Un romanzo che ne contiene diversi, se vogliamo dare delle etichette: il romanzo di formazione, il romanzo di denuncia sociale, il mistero. Inizia con la fuga da casa di tre ragazzini della Bologna agiata che vogliono scoprire cosa c’è appena fuori dal giardino di casa, come nelle fiabe. C’è la figura ormai conosciuta di Settepaltò, il senzatetto raccoglitore dello spreco altrui, c’è l’immancabile Sarti Antonio e tutta la sua piccola squadra a cui si è aggiunta una giovane poliziotta, l’insulso e presuntuoso ispettore capo, e Rosas, ricercatore universitario non si sa di che cosa ma che ha acume e sesto senso bastevoli per risolvere i misteri, altrimenti inestricabili per il modesto questurino. I veri protagonisti sono però i tre ragazzi, due maschi e una femmina, caratterizzati da alcuni tratti indimenticabili. Francesca, detta Bambinamia dal nonno, parla di se stessa in terza persona, Anselmo detto Elmo ha la passione della lettura e tiene su il morale dei suoi compagni leggendo Edgar Allan Poe e Dino Buzzati, Luca che ha la mania di tenere continuamente l’IPod nelle orecchie. Sarà la ragazzina, astuta come Ulisse, a trovare la soluzione per uscire dal “buco del ragno”. Macchiavelli si serve ancora una volta della forma romanzo poliziesco per piazzare una forte denuncia contro lo sfruttamento dei clandestini e il traffico dei minori dai paesi più poveri del mondo. Non mancano riferimenti alla strage alla stazione di Bologna; la storia si richiude proprio lì, come a significare che all’illegalità si è saldata altra illegalità, altrettanto odiosa. Non manca l’ordine di sgombero di un campo di baracche lungo il Reno, ordinato dai vertici della questura e a cui Sarti Antonio non può disobbedire. “Il rumore dei potenti motori delle ruspe si annuncia di lontano, ma arrivano troppo presto. Si dispongono attorno alla baraccopoli e sostano a motore acceso, le lame minacciose protese sugli illegali. Un lavoro infame. Lingua incomprensibile, nomi impronunciabili che non si sa come scrivere. I bambini piangono,; le madri maledicono gli invasori fino alla terza futura generazione; gli uomini sono rastrellati mentre cercano di sparire lungo l’argine…L’ultimo clandestino è salito sull’ultimo automezzo e le ruspe viaggiano sul greto a grande velocità. La prima baracca è rasa al suolo e la donna che l’abitava, sporgendosi sulla sponda del camion in allontanamento, agita le braccia e maledice il mondo. Una dopo l’altra le baracche finiscono sotto i cingoli…” Dite se non sembra di leggere la cronaca di uno dei tanti sgomberi dei campi di clandestini sparsi per tutta la penisola. Un pensiero va a Bologna com’era. “In lontananza, le Due Torri d’antica memoria, sono silenti testimoni delle ingiustizie umane. Si dice che un tempo fossero simbolo d’accoglienza e chi, arrivando da città foreste, le vedeva apparire, alte e svettanti contro il cielo, si rallegrasse. Lo aspettava una città accogliente, dai portici protettori.”

Susanna Daniele

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