Sandrine Collette crea il plausibile ma terribile quadro di una umana fine del mondo, da tempo ecologicamente annunciata e che ci minaccia tutti, nel suo distopico romanzo noir di profetico clamore. Un macabro avvertimento all’umanità di ciò che potrebbe succedere se continua a scherzare col clima, ma descritto e narrato con i poetici toni di una favola.
La vita di Corentin, figlio non voluto di una madre, concepito per sbaglio non con il marito ma con l’uomo sbagliato è cominciata male, abbandonato a pensione da una amica di sua madre, sballottato come un fagotto di stracci, o peggio come un pacco postale con l’indirizzo sbagliato. Una prima infanzia dunque pregna di incertezza, di insicurezza, quasi da incubo fino a quando sua madre lo riprende e in macchina raggiunge il paese natio, in campagna, alle foreste, lo abbandona da solo, per una stradina, con il sacco e le sue poche cose, lo obbliga a prendere una lettera da consegnare a una vecchia, e gli ordina con durezza: vattene! Quindi rimette in moto e scompare per sempre. La vecchia si chiama Augustine, non sorride, non lo coccola, ma lo accetta e l’accoglie. Augustine è la nonna di suo padre, la sua bisnonna. Vive da sola. Pian piano tuttavia Corentin si abituerà a quella realtà, conoscerà finalmente la normalità di una casa anche sua, il senso di appartenenza, la tenerezza, la certezza del rugoso affetto di Augustine e l’allegria. Al villaggio si fa degli amici, va a scuola, comincia a crescere. E continuerà retto e sano, vivendo in mezzo alla natura, solo sfiorata dalle notizie portate dalla vecchia televisione. Si innamora persino di Mathilde, figlia di Adele loro vicina, ma Mathilde che ha due anni più di lui lo respinge e lo fa soffrire. La scuola però gli piace e, perché gli insegnanti hanno capito che è un ragazzo dotato, a diciotto anni Corintin partirà per la Grande Città. E incoraggiato dalla bisnonna, lei lo sogna professore, andrà all’università che l’introdurrà in un nuovo mondo diverso e affascinante. Ma tornerà spesso a trovare Augustine per raccontarlo, entusiasmarla e farlo vivere anche a lei, attraverso le sue parole. Poi meno spesso, ma ci sarà il telefono e dopo ancora appena le feste comandate come il Natale e magari brevemente d’estate. Ma estati diverse, bollenti. Pare quasi che le stagioni vogliano cambiare, mutare. E fa più caldo.
Un giorno, e tuttavia non sapremo mai davvero il perché (Sandrine Collette cita discretamente il riscaldamento globale), prima un boato come un terremoto, poi un mostruoso e “fatale respiro infinito” incendierà la superficie del pianeta e quel vecchio e usurato mondo finisce. Né la vegetazione, né gli animali, né la maggior parte degli esseri umani sopravviveranno. Tra i rari scampati a questo disastro tuttavia ci sarà Corentin. ( La Collette ha inserito all’inizio del suo romanzo il verso tratto dall’Apocalisse di Giovanni, 8,
Quando infatti si verificherà lo spaventoso cataclisma, Corentin, che vive nella “Città Grande” sta festeggiando la fine dell’ università con gli amici, discesi e sistemati, nelle fresche gallerie sotterranee delle catacombe della città per fumare e a sbronzarsi. Dopo il botto, la fiammata improvvisa, gigantesca, devastante. Un calore inconcepibile, e quasi tutto ciò che viveva sulla terra muore. Quando i primi di loro proveranno a risalire in superficie, moriranno ancora prima di toccare terra, stroncati e carbonizzati da un’ implacabile ventata di fuoco. E allora aspetteranno fino a quando dopo giorni e giorni i pochi sopravvissuti usciranno per scoprire un mondo terribile, dove il sole non splende più, il cielo è grigio e attorno a loro tutto è bruciato. E si separeranno. Forse per cercare di ritrovare qualcuno di caro.
Illeso ma traumatizzato, Corentin decide di tornare a casa, alle foreste, “per vedere se la sua bisnonna Augustine è ancora viva”… Ma per arrivare fino a casa dovrà percorrere a piedi più di trecento cinquanta chilometri.
Seguiremo il suo allucinato viaggio a piedi in un mondo devastato e cosparso di cadaveri putrescenti, camminando in scenari devastati e silenziosi con rarissimi incontri con altri miracolosamente sopravvissuti come lui. Alla affannosa ricerca di cibo nelle case e nei negozi, alcuni già razziati, in un plumbeo paesaggio carbonizzato dove tutto ciò che caratterizzava il progresso è scomparso – come telefoni, elettricità, trasporti, ospedali – e dove anche la natura: animali, alberi, piante, insetti ha pagato lo scotto fino in fondo. Dove ovunque l’acqua è imbevibile, contaminata. Tutto è grigio, la pioggia è diventata terribilmente acida. La pelle al contatto dell’acqua si ricopre di piaghe. Bisogna usare teli e cerate per coprirsi. E anche le stagioni, in un pianeta perennemente avvolto da una coltre di nubi che non lascia passare il sole, ormai sono del tutto sballate…
Alla fine del suo lungo e pericoloso percorso, con per unici compagni un fucile e un cucciolo di cane semicieco, da lui salvato, Corintin ritroverà intatto il villaggio della sua infanzia. Ma anche quello è deserto. Sono tutti morti? E invece nella sua brutta casa isolata vive ancora la bisnonna, la vecchia Augustine, in cantina all’arrivo dell’ inferno a cui è miracolosamente scampata. E con lei c’è Matilde che, da bambino, avrebbe voluto sposare. Anche lei unica sopravvissuta della sua famiglia. Sono rimasti in tre, una fragile, minima promessa di umanità?
Ma sarà solo la testardaggine, l’incredibile spinta alla vita di Corentin, che trova un senso nella sua sofferta e durissima esperienza (legata alla sua particolare infanzia, con la solitudine vissuta ma mai accettata), lo spingeranno a seguire il suo istinto, votato alla perpetuazione della specie umana. E allora possiamo far fede all’autrice, perché il suo romanzo “E sempre le foreste” è un bel romanzo distopico post-apocalittico noir sì pessimista ma non disperato, che può essere letto anche come un inno all’adattabilità degli uomini, alla sopravvivenza, una vera e propria ode alla resistenza.
Per Sandrine Collette, la speranza non può e non deve morire finché rimanga un sia pur minimo alito di vita…