Mai giocato con i Lego?
Quando ero piccolo passavo delle ore a incastrare quei meravigliosi mattoncini danesi. Come tanti altri bambini, appena ricevevo in regalo una scatola nuova facevo il possibile per riprodurre il soggetto sulla confezione, ma il vero divertimento veniva nel momento in cui terminava l’esercizio di stile e la mia creatività si sostituiva alle istruzioni per l’uso.
Per creare è necessario avere anche solo la fantasia perché è in grado di provvedere alla mancanza di mezzi, mentre il contrario è alla base di inutili fotocopie o di enormi sprechi di forze e risorse.
A volte, leggendo alcuni romanzi, ho l’impressione che lo scrittore si sia impegnato parecchio per mettere assieme i pezzi secondo la propria immaginazione e portarci in terre straniere, quelle lande in cui il nostro pensiero non arriverebbe da solo, per riuscire a farci vedere la realtà, ma assemblata in maniera personale per mettere in evidenza alcuni temi.
Detesto i romanzi a cassetta, quelli fatti e confezionati per propinare tesi, quelli ricalcati che scimmiottano opere maggiori per brillare di luce riflessa o quelli che riproducono la realtà rappresentata nei mezzi di informazione o dall’immondezzaio dei social network.
Noi lettori abbiamo il dovere non solo di leggere per avere lo scaffale più lungo degli altri, ma di capire e riflettere davvero su ciò che c’è scritto.
L’artista deve traghettarci oltre il nostro punto di vista e farci vedere le cose al di là dei luoghi comuni.
L’assenza di Gino Marchitelli è un romanzo che racconta la storia di Anna e Paolo. Sono due persone normali, entrambe sposate, con lavori ordinari che grazie al libro “galeotto” La donna di Sabbia si incontrano e iniziano una straordinaria storia d’amore clandestina. Gli amanti però scopriranno che dove è più forte la luce, più scura è l’ombra.
Tocca al Professor Moreno Palermo riuscire a rischiarare il loro destino.
Si tratta di un noir ambientato nelle doppie verità di una società fedifraga, ingessata nel rispetto di istituzioni prive di senso, schiava di valori ormai sbiaditi e fondata sull’errata convinzione maschile che la donna sia un oggetto, nient’altro che un possesso verso cui sia addirittura lecito usare violenza.
Nel momento in cui viene uccisa una donna non è giusto parlare di raptus, come se fosse un istante di follia, né è lecito delegare la comprensione di un tale gesto a pietosi talk show pomeridiani che spacciano per informazione la continua ricerca del sensazionalismo e l’esaltazione del torbido.
Ovviamente, come specificano sia l’autore che Manuela Baldi nella prefazione, non si tratta di un’opera giustificativa ma di un atto di denuncia di un problema reale e il tentativo di aiutare a scovare e disinnescare il lato più oscuro e millenario nascosto in ogni maschio.