Giuseppe Battarino

Ha letto tutti i suoi libri e hanno lavorato negli stessi edifici.  Gli ha perfino dedicato dei saggi, raccolti ne Il confine lieve (Nodo libri).

Giuseppe Battarino è fiero di raccontarmi che ha pubblicato il primo romanzo a 49 anni, come Piero Chiara. GIP (giudice per le indagini preliminari) al Tribunale di Varese, si occupa di casi a volte molto duri.

Grande interesse ha suscitato a Varese Sentieri invisibili (Todaro Editore), il suo primo romanzo, perché molti cercavano di individuare chi si celasse dietro ai personaggi del libro. In realtà non ci sono personaggi precisi, solo tipologie caratteristiche che normalmente si incontrano nelle aule di giustizia, sia italiane che estere.

Come sei arrivato a scrivere un romanzo?
In modo graduale, dopo aver scritto alcuni saggi di diritto e articoli, mi sono accorto che la mia scrittura si stava modificando, diventava  meno tecnica.  La liason è nata con un pezzo scritto per la rivista giuridica Themis sulla Investigation novel, la letteratura e il cinema di genere, ovvero le mie due grandi passioni. Cerco di scrivere in maniera leggibile pur restando tecnicamente rigoroso. Mentre facevo la revisione di Ein fall von liebe di Massimo Marano che pubblica in Germania per DTV, sono rimasto colpito dalla sua richiesta di precisione, che mi sembra meno sentita in Italia.

Perché un giallo?
Un romanzo di sentimenti non era nelle mie corde. Sentieri invisibili nasce come disegno di personaggi, piano piano ho provato a farli agire. In un passaggio il protagonista descrive i suoi colleghi, da lì è nata l’idea del giallo e i personaggi hanno iniziato a vivere. Mi sono reso conto di aver creato un “presepe”, poi  ho creato un romanzo e le figure hanno cominciato a muoversi secondo le cadenze del giallo. Sono contento del risultato, i personaggi si sono mossi secondo le mie aspettative. Prima di essere giudice avevo lavorato come pubblico ministero, di qui la sensibilità sul tema delle indagini e sulla realtà investigativa.  Nel mio lavoro l’interrogatorio è molto importante, è immediato e mostra le persone in modo diverso da quanto avviene se si interrogano dopo che hanno avuto il tempo di rielaborare i fatti. Mentre interrogo mi pongo anche come spettatore. Sento la necessità di essere adeguato dal punto di vista tecnico, l’amministrazione della giustizia non ha spazio per i sentimenti. Il tribunale non è luogo di passioni ma di logica e di tecnica.

Qual è il tuo rapporto con Piero Chiara?
Ho letto tutti i suoi libri ma non ho avuto la fortuna di conoscerlo. Abbiamo entrambi lavorato nell’amministrazione della giustizia . A volte leggo le mie sentenze nell’aula in cui c’è ancora la gabbia dove Chiara aveva celebrato il processo burla a Mussolini che gli costò una condanna in contumacia a quindici anni di galera.  A Luino, amministrando la giustizia si respirava un’atmosfera prettamente Chiariana e avevo riconosciuto nelle persone la tipologia di caratteri descritti nei libri. A 12 anni avevo letto I giovedì della signora Giulia, questo libro ha lasciato in me un’impronta, l’inizio di un dialogo mai interrotto. In questo momento ho una copia di Itinerario svizzero (Casagrande – Fidia) di Piero Chiara sul comodino.

E il tuo rapporto con Luino?
La singolarità di Luino rende chiara e percepibile la singolarità di Piero Chiara come scrittore.  Nel 1998 la pretura di Luino era stata soppressa e avrei dovuto lasciarla: in quell’occasione avevamo organizzato una partita di calcio tra una rappresentativa luinese e la nazionale magistrati, in cui allora giocavo. Quel giorno però nessun dubbio: capitano della squadra di Luino perché sentivo di appartenere alla città.

Oltre al lavoro di magistrato e alla scrittura, svolgi anche altre attività?
Credo molto nella dimensione territoriale dell’Insubria, rispondo volentieri alle proposte che mi sono state fatte in questi anni, per esempio dall’associazione Il Vellone di Varese, da Terra Insubre, e dall’Università popolare di Como. Insegno anche procedura penale all’Università dell’Insubria.

Come è stato accolto il tuo libro all’interno del Palazzo di Giustizia?
Come scrittore ho avuto una piccola-grande soddisfazione: un collega calabrese incontrato di recente, che non conoscevo, ha subito collegato il mio nome al titolo del mio libro e non al nostro comune lavoro. In ambito professionale non avevo detto niente, i miei colleghi si sono comportati come normali lettori con reazioni generalmente positive ma con una sorta di doppio approccio: alcuni lo leggono tutto d’un fiato, in una sera,  cercando di decodificare ciò che accade mentre altri dopo un po’ si fermano per chiedersi “dove stiamo andando?” . Quando capiscono dove stanno andando, ne sono gratificati.  Tra i lettori professionali, avvocati, poliziotti e magistrati, se sono stati sinceri, nessuno ha capito troppo presto come andava a finire.

Scriverai un altro giallo?
Scriverò ancora …

Ambretta Sampietro

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