I morti del Carso



Veit Heinichen
I morti del Carso
e/o
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Trieste. Città di confine, immersa nel suo crogiolo di multietnica provenienza, persa nei meandri del passato scomodo che la circonda, là sulle montagne appena appena accennate del Carso. Dove tra le rocce e la vegetazione ci sono misteri antichi e ferite fresche, figlie del secolo scorso e della violenza dell’essere umano.

Veit Heinichen è tedesco ma vive a Trieste da abbastanza tempo per conoscerne quanto basta e poterla raccontare. E a Trieste c’è molto da narrare. Tant’è vero che Heinichen non si è limitato a farlo in un romanzo, ma con il suo fido commissario Proteo Laurenti ne ha scandagliato vicoli e vicende per ben sei volte. I morti del Carso sancisce la nascita di questa narrazione, non interamente triestina ma, lungo i sentieri dei suoi confini e delle zone limitrofe, avvolta anche nel suo sfaccettato intorno.

Heinichen affronta fin da subito una parte oscura della storia recente: le foibe. Con una scrittura puntuale e priva di sbavature, ci guida avanti e indietro nel tempo, riportando alla memoria le nefandezze commesse dai tedeschi, dai fascisti, dall’esercito di Tito in anni successivi, portando alla luce stragi impunemente perpetuate ai danni di innocenti e ancora oggi non del tutto chiare. In questo mistero e nelle recenti morti violente di alcune persone Laurenti deve indagare a fondo, prima di tutto per “capire”.

I morti del Carso è un giallo doc. A una vicenda ingarbugliata (come da detective story che si rispetti) allaccia le paturnie del commissario Laurenti, mollato dalla moglie, incasinato da un figlio vagamente filofascista e in difficoltà nel gestire la bellissima e fatale collega croata che lo supporta nelle indagini. L’umorismo non manca e la galleria di personaggi è variopinta e piuttosto ben incastrata nella trama. Heinichen sa come intrattenere il suo lettore. Nel farlo, compone un quadro non privo di spessore psicologico e riferimenti storici, immerso nella coltre oscura di una Trieste che, come si capisce chiaramente, lui ama.

Massimo Versolatto

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