«E se il pittore Bosch fosse stato uno stregone che parlava delle opere di Dio per confondermi? Se, per assurdo, Isabella fosse stata sua complice, e non una vittima dei suoi incantamenti? E se io stesso fossi stato preda di qualche sostanza che mi rendeva schiavo delle sue azioni?» Così recitano le prime frasi della presentazione editoriale di Il settimo peccato, il nuovo thriller storico di Carlo Martigli, immergendoci subito fino al collo nel bel mezzo della trama. Comunque vediamo di spiegare meglio partendo dall’ambientazione. Siamo all’inizio del Cinquecento e più precisamente nel 1503 e Giovanni Ciocchi, ricco quindicenne, figlio di un famoso e stimato giurista e tale destinato a diventare, è in viaggio sulla comoda carrozza, affittata dal padre per l’occasione, in direzione di Venezia con il compito, che lo entusiasma, di accompagnare l’inquisitore francescano Martino da Barga, suo mentore e maestro di vita, affiancandolo come apprendista in una delicata e spinosa circostanza. Martino da Barga infatti, convocato dalla Serenissina, dovrà partecipare come avvocato della difesa al dibattito nel processo inquisitorio contro il celebre pittore fiammingo Hieronymus Bosch, che è accusato di eresia e blasfemia per aver dipinto un Cristo in croce, barbuto ma con aspetto squisitamente femminile. Giovanni Ciocchi ha poco più di quindici anni, non ha ancora aggiunto al nome paterno il Dal Monte dello zio cardinale ed è ancora molto lontano da quel giorno del 1550 in cui verrà eletto papa con il nome di Giulio III. Ma torniamo alla nostra storia. Dopo un lungo e faticoso viaggio, maestro e apprendista, approdati alla loro lagunare meta, dopo aver superato il primo scoglio della curia patriarcale e lo spiacevole incontro con l’inquisitore che rappresenta l’accusa, si recheranno a Palazzo del vescovo Grimani, committente di Bosch e quindi destinatario dell’opera incriminata, per fare conoscenza dello stravagante pittore che è suo ospite, della sua peculiare visione del mondo, complice lo stramonio, e del suo scostumato stile di vita. Loro scopo sarebbe assicurargli una giusta difesa dalla gravissima accusa che pende sulla sua testa. Ma il diavolo ci mette la coda, perché da quella notte comincia un sanguinoso fiorire di macabri delitti per la città. Sissignori e uno dopo l’altro salteranno fuori sei cadaveri, sui quali a mo’ di macabra firma o crudele sberleffo l’assassino si è divertito a lasciare spaventosi particolari da decrittare: monete incastrate nei bulbi oculari, frutti e salsicce messi vicino ai corpi, ma e soprattutto piume, piume di uccello che spuntano dalle tasche, dai corsetti, dalle bocche delle vittime. Naturalmente, il principale indiziato per quei barbari delitti, visto la follia raffigurata spesso nelle sue opere, diventerà da subito il blasfemo e antipatico Hieronymus Bosch. Ma il Doge, il Consiglio dei Dieci, il sommo magistrato Bonaccorso, tutta la città insomma, contano sull’istinto del magister, che sanno anche esperto investigatore e in grado quindi capire e interpretare le tracce seminate ad arte per fare luce sull’enigma. Riusciranno Martino da Barga e Giovanni Ciocchi, soli davanti al crescente sospetto e con in atto la generale caccia all’omicida, a sbrogliare la situazione?
Attorno al pittore olandese, una delle figure più misteriose, affascinanti e scandalose della storia dell’arte, Carlo A. Martigli costruisce un thriller impeccabile, dal passo ipnotico e avvolgente, ma anche un acuto divertissement, a tratti boccaccesco, che sfrutta abilmente nel ruolo di comparse tanti grandi protagonisti della storia, quali Alessandro VI, suo figlio Cesare. Poi, come se non bastasse, affida impavido, senza farsi scrupoli, il ruolo di voce narrante a Giovanni Ciocchi, poi adottato dal Monte, che salì al soglio pontificio con il nome di Giulio III, chiacchieratissimo per i suoi costumi ma che fu uomo di gran cultura e mecenate: protesse Michelangelo e Palestrina, potenziò la Biblioteca vaticana, l’Università della Sapienza di Roma e costruì per sé la sontuosa Villa Giulia, oggi sede del Museo Nazionale Etrusco. Oddio le incontrollabili sfrenatezze economiche e gli spregiudicati comportamenti sessuali di Giulio III, che prima fece adottare dal fratello il suo giovanissimo amante poi addirittura lo nominò cardinale a diciassette anni, dettero ampio materiale di scandalo ai nordici benpensanti calvinisti e luterani, che magari non peccavano nella carne, ma neppure loro sfuggivano dalle tentazioni di una buona tavola e di una vita molto, ma molto agiata… Comunque, al pontificato di Giulio III, caratterizzato dall’estrema licenziosità dei costumi, va il merito di aver riaperto il concilio di Trento nel 1551, confermando lo statuto dei Gesuiti, ai quali l’anno dopo il papa affidò le redini del Collegio Romano e del Collegio Germanico, abile mossa da giocatore di scacchi in grado di tenere alla larga strigliate troppo moralistiche nei confronti della sua vita di corte. E al momento dello scontro tra impero e Francia, il pontefice che prima si era schierato contro i Farnese, quando si rese conto che il sanguinoso conflitto rischiava di prolungarsi ma non portava a reali vantaggi, si riappacificò con i Farnese, ai quali doveva la sua ascesa al soglio, e sospese il concilio, ritenendo inutile continuare a battersi contro la dichiarata ostilità protestante dei paesi nordici.
Carlo A. Martigli, che anche stavolta scolpisce e poi cesella con stile i suoi personaggi, si conferma un grande affabulatore, sempre dotato di innato senso di humour, il che in una bella storia non guasta mai e gli regala una poltrona di velluto rosso tra i creatori del giallo storico.