È il primo a saperlo. Ne ha percepito la presenza, ne ha sentito l’odore ed ha frenato, mentre Nestore, “lo storico postino del borgo, in pensione ormai da tempo immemore” lo incita a tenere il passo. Col suo atteggiamento un pò sonnacchioso e indolente indica col “muso il fosso che correva parallelo alla strada e che serviva per l’irrigazione dei campi”, lì è adagiato il cadavere di Giuanìn Penna, ucciso appena dopo un giorno dal suo rientro nel suo paese natale, Il Piccola Russia. Il bracco di Nestore che “a caccia era sempre stato un brocco” sa che non può condividere la sua scoperta con nessuno ma non si rassegna. Uno dei tanti personaggi ironici e grotteschi del noir “L’ira funesta” di Paolo Roversi edito da Rizzoli, il cane, è custode di una verità che solo il giorno dopo verrà scoperta. Nel borgo, un pò fuori dal tempo, incastonato nella Bassa, un evento di grande attrazione tiene impegnati abitanti e forze dell’ordine: il Gaggina, un ragazzone alto e grosso innocuo ma iroso si è barricato in casa con la nonna e due ostaggi o forse tre, è quasi nudo e minaccia chiunque voglia avvicinarsi con una katana. L’afa si fa sentire e il maresciallo Omar Valdes, nuovo protagonista di Roversi, deve rinunciare ad andare al fiume a pescare il siluro per cercare di stanare l’esagitato Gaggina, mentre alla vittima ancora non rimane “altro da fare che continuare a fissare con gli occhi sbarrati quel cielo nero puntellato di stelle” fino a quando “la voce che nel fosso di via Matteotti c’era un cadavere si sparse alla velocità della luce fra i campi, le fattorie e i casali”. Tra i primi ad arrivare sul luogo del ritrovamento il vecchio Nestore che guarda il suo bracco con “aria nuova”. Il cane soddisfatto di esserci arrivato prima degli altri e orgoglioso degli elogi di Nestore“si lasciava accarezzare, guardandosi bene dal rispondere: non portano rancore gli animali”.
L’ira funesta (e il suo bracco)
cristina marra