Il cimitero di Venezia – Matteo Strukul



Matteo Strukul
Il cimitero di Venezia
NewtonCompton
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Venezia, 1725. La Serenissima  cela, nei ricevimenti dei sontuosi palazzi aristocratici e il susseguirsi a teatro delle opere dei celebri musicisti alla moda, l’epidemia di vaiolo che non guarda in faccia a nessuno e miete indiscriminatamente vittime tra nobili e plebei.
Pieno e gelido inverno che ha trasformato gran parte dei canali in una specchio ghiacciato. In piedi, davanti ai finestroni che consentono di intravedere il gelido vorticare della neve, il ventottenne  Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto ex scenografo ricercato e ormai vedutista di buon nome  con le sue tele ambite da tutta Venezia, ammira compiaciuto sorseggiando la sua cioccolata,  la sua opera appena finita, dipinta su committenza di Stefano Conti.  Vivacizzata dal chiarore che, illuminando le acque del Canal Grande, le colorava di un verde brillante particolare, con  i raggi sulle facciate dei palazzi a evidenziare il luccichio del Fondaco dei Tedeschi…
I suoi dipinti sono il felice  risultato della composizione di diverse prospettive, ottenute attraverso l’uso della camera ottica, una scatola di legno con una lente e uno specchio smerigliato. Servendosi di un piccolo  foro e di una lente, Canaletto  riusciva infatti a ottenere l’immagine desiderata  paesaggio,  scorcio,  piazza, campo o canale, impressa per poi  ricalcarla a suo piacere su un foglio, catturando  ogni dettaglio e riproducendo la profondità degli spazi.
Il trasferimento nel suo nuovo palazzetto di Castello gli ha praticamente vuotato le tasche  ma un artista par suo deve disporre di  una consona cornice per attirare e convincere nuovi clienti, pronti a sponsorizzare con pingui commesse la sua arte.  E il decoro, che gli conviene, richiede un minimo di servitù e  dunque una cuoca, un cameriere e un domestico.  E sarà proprio quest’ultimo, Alvise, ad annunciarsi compito, consegnando al padrone un biglietto con il Sigillo della Serenissima..
Canaletto è stato  convocato a Palazzo Ducale da Matteo Dandolo, Inquisitore di Stato della serenissima Repubblica e da Giovanni  Morosini, Capitan Grando dei Signori della Notte al Criminal, che gli chiedono  spiegazioni in merito a una sua opera che rappresenta minuziosamente, con i panni stesi ad asciugare, mossi dal vento e le casupole dei miserabili,  un largo scorcio del Rio dei Mendicanti,  zona squallida  e malfamata di Venezia. Zona, dove proprio pochi giorni prima è stato ripescato nella laguna il cadavere ancora ben conservato, in virtù del gelo, di una donna di grande famiglia. La vittima, una giovane  alla quale è stato barbaramente strappato  il cuore,  è stata soprannominata  “La fanciulla di alabastro”.
L’indagine è  affidata ai Signori della Notte al Criminal (congrega di  magistrati patrizi, uno per ogni sestiere, con  tutte le competenze, durante la notte, nei confronti dei criminali).  Per loro i principali  indiziati sono da ricercare tra  gli ebrei…
Perché Canaletto ha rappresentato nel suo dipinto proprio il Rio dei Medicanti? Aveva un motivo? Ci potrebbe essere un qualche legame tra lui e quell’omicidio?
Per sua fortuna, le sue giustificazioni faranno sì che venga congedato, ma non prima di essere fatto oggetto di pesanti reprimende e raccomandazioni. Per il futuro deve evitare  di rappresentare ogni e qualunque cosa che possa in qualche modo nuocere al  prestigio della Repubblica.
Mentre, stravolto, sta per lasciare Palazzo Ducale, Canaletto viene però fermato e accompagnato cospetto del doge, Alvise Mocenigo che anche lui pare molto interessato al quadro posto  sotto inchiesta dall’Inquisitore Dandolo, il Rio dei Mendicanti. Ma il Doge, che è in compagnia  di una dama riccamente vestita e  mascherata, più che all’omicidio pare interessato ad alcune figure di nobili veneziani: Personaggi che il pittore ha dipinto sulla  parte  del quadro raffigurante i pressi dell’Ospedale dei Mendicanti  e, più in particolare, all’identità di un uomo ritratto di spalle. Insomma nel dipinto c’è un qualcosa, un particolare personaggio che potrebbe coinvolgere negativamente  un’importante famiglia veneziana. Qualcuno tra gli aristocratici sarebbe stato sorpreso a sproposito in uno dei peggiori luoghi  di Venezia. Perché si trovava la? Alvise Mogenigo vuole saperlo e  Canaletto riceve proprio dal doge in persona l’ordine di scoprire chi fosse quel personaggio, seguirlo  e dopo riferire, solo e direttamente a lui, ogni suo movimento.
Motivo  per cui Antonio Canal, che si fa un vanto di offrire la maggiore e possibile veridicità ai suoi dipinti,  proprio per questo motivo si troverà  costretto a trasformarsi in  un investigatore e una  spia, invischiato fino al collo in una complicata  situazione dalla quale gli è impossibile esimersi.
Ciò nondimeno la sua indagine, preoccupante all’inizio ma ben presto coinvolgente, lo  condurrà  ad avvalersi della collaborazione di brillanti stranieri a  frequentare ambienti altolocati in cui si consumano  oscuri riti esoterici. Ambienti governati  da ambigue e pericolose figure dominatrici, dal passato immerso nel più torbido  mistero. E Canaletto, implicato suo malgrado,  si vedrà addirittura imprigionato da una vischiosa ragnatela di inganni e manipolazioni e peggio , quando anche  in Campo San Giacomo, che aveva recentemente raffigurato in un altro quadro, verrà ritrovato il cadavere orrendamente mutilato di un’altra ragazza di buona famiglia. Quanti e quali mostruosi segreti si celano nei ricchi e  viziosi  rifugi veneziani? Quali verità sarebbe meglio che restassero  sepolte?
In questa ardua  situazione il compito affidato a Canal  diventa sempre più difficile.  Ma con il fattivo  appoggio  di alcuni mercanti di quadri, tra i quali  l’inglese Joseph Smith, di un medico ebreo, testardo nel suo tentativo di convincere i Veneziani a combattere il vaiolo, di una giovane donna impavida e  del feldmaresciallo, collezionista  e mecenate Johann Matthias von der Schulenburg, l’eroe della difesa di Corfù, riuscirà a contrastare i rischiosi avvenimenti che minacciano  la Serenissima. E, con  un  pirotecnico susseguirsi di colpi  di scena,  arrivare a sbaragliare gran parte  dei nemici di Venezia nell’angosciante palcoscenico del gotico e spaventosamente macabro  cimitero di Sant’Ariano.
Ma non tutti…
Con una trama ben concepita e un’abile miscela di thriller storico, romanzo d’avventura, spy story e noir, Il cimitero di Venezia è garbatamente frequentato da una notevole serie di personaggi storici con un occhio di riguardo a Canaletto, un fertile innovatore nel campo della pittura, che ben si amalgamano a  quelli di fantasia indispensabili per la trama. 

Note storiche: grazie alla sua abilità e alla genialità della sua tecnica, Canaletto divenne in pochi anni uno dei pittori più ricercati di Venezia e ben presto la sua  fama varcò i confini della città.
Le sue opere entrarono a far parte della collezione dei reali del Liechtenstein e di alcuni importanti mercanti d’arte, ma Joseph Smith rappresentò  l’incontro decisivo per la sua fortuna perché gli aprì le porte della ricca clientela inglese.
Tanto che Joseph Smith, collezionista e diplomatico britannico, procurando  a Canaletto molte e importanti commissioni, portò  l’artista a trasferirsi a lavorare in Inghilterra per circa dieci anni.Vaiolo: alcune coraggiose voci di medici (e tra questi Strukul mette il suo medico ebreo Isaac Liebermann) tentarono invano di introdurre anche a Venezia la variolizzazione o vaiolizzazione la  pratica preventiva contro il fatale morbo, utilizzata abitualmente a Smirne da professionisti che estraevano il pus dalle pustole mature di una forma lieve del vaiolo e lo facevano penetrare attraverso  una incisione fatta sul braccio o sulla gamba della persona da inoculare. Metodo validissimo per immunizzarsi contro la malattia, da secoli utilizzato in oriente tanto che nel 1715  il Philosophical Transactions  aveva addirittura ospitato una dettagliata  analisi delle pratiche preventive secondo i canoni in uso in Asia Minore, scritta  dal medico italiano Jacopo Pilarino, inviato a Smirne come console veneziano a Costantinopoli. Ma detta pratica  venne più volte categoricamente  rifiutata dal Gran Consiglio per i rischi connessi: le persone inoculate infatti durante il periodo della loro pur live se non lievissima  malattia potevano diventare potenziali sorgenti dì contagio.

Patrizia Debicke

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