Il figlio di febbraio

In questo sequel Alan Parks sacrifica in parte l’indagine centrale per concentrarsi meglio su McCoy. Ne esplora in profondità il dolore. Ricerca le ragioni del rapporto che lo lega ferocemente e fortemente a Cooper, nonostante da sempre combattano su fronti completamente opposti: un’amicizia di cui non riescono a fare a meno, per quanto possa rivelarsi deleteria per entrambi. Inquietudini che si riflettono nelle atmosfere catturate dall’autore: in una Glasgow oscura, dominata da malavitosi e pesantemente segnata dall’ascesa della droga, il bene e il male si incontrano e scontrano su un terreno privo di confini, dove tutto è bianco e tutto è nero così come niente è bianco e niente è nero. Non c’è spazio per la compassione. Non c’è tempo per la redenzione.
Una ferocia che emerge con prepotenza anche nello stile della narrazione: spietatamente realista, gioca sulla rapidità del ritmo per inchiodare il lettore fino all’ultima pagina. E lo prepara a una nuova avventura, a un marzo ancor più duro e crudele. Perché ormai McCoy ci ha già conquistati.
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