Codice di ferro – Romano De Marco



Romano De Marco
Codice di ferro
Camena
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La più grande indubbia e incontestabile dote di Romano de Marco è di saper costruire trame sempre nuove, originali, coinvolgenti. Una qualità che gli ha permesso negli anni di spaziare senza rimanere relegato negli ambiti di una serialità che spesso rischia di diventare una gabbia ciclostilata. Certo, la letteratura giallo/thriller (non uso il termine genere di proposito) è il suo territorio naturale, ma ogni suo libro, seppur carico di tensione narrativa e di azioni ad alto tasso adrenalinico, contiene anche molto altro, dalla critica sociale e politica, all’introspezione psicologica.
Che Codice di ferro sia un libro dove indagine, azioni e personaggi dal carattere forte e indomito sono gli ingredienti principali, lo si intuisce già dalla dedica iniziale, fatta a due persone, Alan D. Altieri e Stefano di Marino, che di questo tipo di libri erano maestri indiscussi e indimenticabili.
E De Marco non è da meno, intessendo una trama ricca di scenari e personaggi che piano piano vanno a convergere in una storia complessa della quale è bravo a reggere e intrecciare le fila.
Tutto inizia quando un commando tenta di rapire la figlia di un noto imprenditore lombardo impegnato politicamente. La reazione mediatica è imponente e punta il dito contro gli islamici. Intanto, a Roma, un attentato di stampo mafioso coinvolge il commissario di polizia Laura Damiani, personaggio che torna spesso nei libri di De Marco.  Se questo ancora non fosse sufficiente, a Fiumicino arrivano due emissari del nuovo capo della Yakuza per regolare un vecchio conto rimasto aperto.  E per aggiungere altra tensione, dalla base americana di Aviano sono scomparse armi da guerra. Con capitoli brevi che saltano da una situazione all’altra, De Marco, tassello dopo tassello, costruisce la trama di questa storia ricca di azione e combattimenti, intessendola di colpi di scena, e arricchendola di dialoghi vivaci e spesso ironici. Quell’ironia feroce di chi cerca di sdrammatizzare la morte perché la vede in faccia ogni giorno. Tra Milano, Roma e il Giappone, tra polizia, carabinieri, servizi segreti, mafia, mercenari e guerrieri di antiche tradizioni, solo una persona è in grado di gestire l’indagine e venirne a capo, anche perché lo riguarda molto da vicino. È il capitano dei carabinieri Rinaldo Ferro, uomo duro e puro, che non disdegna metodi poco ortodossi e sbrigativi perché, a volte, il rispetto delle leggi e la giustizia non vanno nella stessa direzione, e spesso anche giustizia e legge rischiano di non incontrarsi. Ferro è un uomo fuori da ogni logica di potere, e con lui i suoi uomini, indomiti e ribelli ma dedicati alla loro missione di salvaguardia, uniti da amicizia e fiducia incondizionate, schegge impazzite ma essenziali in situazioni estreme nelle quali i poteri istituzionali sembrano non riuscire a destreggiarsi o essere addirittura conniventi. Ferro è una specie di supereroe pronto a battersi fino alla morte, un guerriero con un suo codice etico incrollabile, un perfetto eroe cinematografico, come cinematografica e spettacolare è la narrazione che non ha mai cali di tensione., abolite lungaggini e inutili descrizioni. Solo azione. Tra doppi giochi, killer, personaggi ambigui, mercenari, starlette in cerca di fama e cruenti combattimenti, Romano de Marco costruisce un perfetto thriller d’azione che occhieggia ai suoi amati poliziotteschi degli anni Settanta, fosse anche solo per gli occhiali a goccia indossati da uno dei protagonisti. Codice di ferro, ideale seguito di Ferro e fuoco, uscito nel 2012. è rimasto nel cassetto per troppi anni, Ora, finalmente, Rinaldo Ferro e la sua squadra  sono tornati in campo, pronti a tutto.   

Cristina Aicardi

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