Il prezzo della carne



Mimmo Gangemi
Il prezzo della carne

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La fame e la prepotenza sono i motori de Il prezzo della carne (ed. Rubbettino) di Mimmo Gangemi. In questo noir sui generis l’autore della Signora di Ellis Island e del Giudice meschino (Einaudi ed.) mette in scena la povertà e la voglia di rivalsa, così come l’omertà e l’“ominità”. Quest’ultimo è un concetto da “uomini d’onore”, una specie di guida morale per criminali.
In verità nel Prezzo della carne Gangemi si sofferma sul periodo in cui l’ominità, con tutti i suoi usi, si trova ormai sulla via del tramonto, mentre la criminalità nei suoi aspetti più violenti e famelici sta esplodendo. Lo scrittore di Palmi ambienta la storia all’inizio degli anni ’90 e pone quattro giovani Cola, Ntoni, Peppe e Tano a mischiare le carte.
Il passaggio epocale tra vecchia e nuova ‘ndrangheta è tutt’altro che indolore. In un paese in cui nessuno avrebbe mai osato arrecare uno sgarbo ad alcuni professionisti e uomini “protetti”, questi quattro cani sciolti minacciano e tentano di estorcere denaro. Sono giovani che vorrebbero ottenere un ruolo, un riconoscimento e una ricchezza che mai fino a quel momento hanno avuto.
Si trovano però a pestare i piedi a chi il potere se l’è guadagnato con fatica, determinazione, spregiudicatezza e violenza, tanta violenza. E proprio per questi motivi i fratelli Barrese, don Rosario e i loro sottoposti non sono disposti a farla passare liscia a quattro cotrarazzi.
Da parte loro i Barrese e don Rosario esemplificano i due modi di vivere la “vita d’onore”, quello antico e quello moderno. Il primo è il vecchio capobastone, un uomo che segue i dettami degli “uomini d’onore”, è “uno con cui si può ragionare”. I Barrese no. Loro si sono buttati sui sequestri e sul traffico di droga. Uno scontro classico tra due mondi criminali che si stanno scontrando, anzi che si sono brevemente incrociati per vedere il vecchio spodestato dal nuovo.
Ogni evento che Gangemi tesse passa sotto l’attento vaglio del tribunale popolare che si riunisce nella bottega di maestro Umberto, in questo luogo il professore Scordo, don Luigi e l’ingegner Andrea non lesinano commenti e cattiverie. Le chiacchiere restano tra quelle mura e filano poi per le vie del Corso portandosi dietro una verità tutta loro. Una verità spesso fintamente ingenua e vicina al volere, mai espresso, da chi governa il crimine.
Il linguaggio è uno dei punti di forza di questa storia. Nel racconto si inseriscono termini dialettali, quasi messi lì per portare il lettore ancora più vicino alle radici da cui è nata questa guerra, questa storia, questa fame. Un pezzo di quella storia di povertà troppo semplificata, spesso ignorata, quando si narra l’ascesa della criminalità italiana.

Eleonora Aragona

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