VENEZIA IN NERO E ORO
Fin dalle prime pagine del romanzo ho avvertito forte l’impressione di trovarmi davanti a un notturno veneziano di James Abbott Wisthler, l’artista americano che seppe trasfondere nei suoi dipinti, nelle immagini di Venezia soprattutto, i preziosi bagliori dell’oro e la musicalità delle sue piazze.
E’ una Serenissima questa che Giada Trebeschi ritrae alla Vigilia di Natale del 1576, all’apice del suo splendore e nell’abisso di una pestilenza che falcerà un terzo dei suoi abitanti. In cui fervono commerci e intrighi, il lusso regna sovrano nei palazzi affacciati sul Canal Grande, le perversioni non risparmiano neppure gli esponenti del clero, superstizione e razionalità si scontrano alla pari.
In questa grandiosa macchina teatrale, in cui nulla è ciò che sembra e realtà e finzione si nascondono l’una all’altra, al Lazzaretto Novo, dove è spedito in quarantena chi è stato a contatto con ammalati di peste, viene rinvenuto il cadavere di una donna-vampiro, una masticatrice di sudari, così definita dai grugniti ferini udibili vicino alla sua sepoltura e per il sudario consumato proprio in prossimità della bocca. In un’epoca in cui gli effetti della decomposizione delle salme non erano conosciuti se non nell’immediatezza della morte o quando ormai i cadaveri erano ridotti a scheletri, si diffonde un’immediata certezza: le forze del Male si sono scatenate e hanno inviato i loro emissari, i vampiri masticatori appunto, a diffondere il contagio. Senza indugio si manda a chiamare Nane Zanon – singolare figura di alchimista, negromante, esperto di soprannaturale – che, sulle prime, non può che confermare quanto la superstizione già paventa.
Ben presto, un atroce accadimento interviene ad avvalorare la presenza di vampiri-masticatori: Don Alvise, parroco di San Nicola dei Mendicoli, viene ritrovato cadavere, il corpo dilaniato a morsi ma neppure una goccia di sangue sul luogo del delitto. Le indagini spettano a Orso Maria Pisani, Signore di Notte al Criminal del sestiere di Dorsoduro, come dire il magistrato di sorveglianza su quanto accadeva in città nelle ore notturne, affiancato dall’ebreo Giuseppe Calimani in qualità di medico legale e dallo stesso Nane Zanon per la presenza sospetta di elementi soprannaturali.
E’ una inedita e sorprendente coppia investigativa quella formata da Pisani e Zanon: il magistrato, sicuro di sé e del solo potere della ragione, e lo studioso che ha iniziato a credere nei morti viventi perché, dopo i lutti subiti, lo è diventato lui stesso. Pisani lo accoglie prevenuto, ma si ricrede ben presto davanti al sottile intelletto di Zanon e alla sua logica stringente. Personalità e attitudini si compensano, la stima cede presto il posto alla solidarietà e l’uno finisce per contare solo sull’altro in un’indagine infida attraverso sei efferati delitti, che sembrano coinvolgere il clero, alcuni patrizi vicini al Doge e anche i mercanti più in vista della città. Delitti che finiscono per rivelare un preciso schema criminale, denso di simbolismi ma privo poi di componenti soprannaturali.
Giada Trebeschi realizza un vivido affresco di una Venezia splendida e corrotta, in cui rifulgono vesti sontuose ricamate in oro purissimo e si addensano al contempo ombre temibili originate da un’oscurità di mente e di anima. E’ il desiderio a far girare quel mondo: di ricchezza e di potere, di sapere e di materialità, di sesso e di perversione. Ogni traffico è consentito, di merci e di umanità, lecito o illecito, e nessuno si sottrae allo scambio: giudei, gentili, turchi o levantini che siano.
Il mistero, che pure si dipana come indagine ineccepibile e si conclude con un convincente coup de thèâtre, è secondario a una potente rievocazione storica che si avvale di ogni elemento – arte, ambientazione, lingua, usi, cibi, rimedi, pratiche sessuali – per evocare una stagione irripetibile di fulgore e oscurità.
Giada Trebeschi, che è scrittrice e anche storica profonda, utilizza un linguaggio attuale ma colto e prezioso e dà vita a straordinari personaggi che animano in maniera del tutto credibile quel singolare palcoscenico.
Orso Maria Pisani, il cui titolo di Signore della notte è già una promessa seduttiva, con la sua virile sicurezza e la personalità possente; Nane Zanon, con la sua tormentata ricerca dell’ultraterreno ma che finisce per riscoprire il gusto della vita; Adàmas, il machiavellico mercante per il quale non esiste merce rara che non sia reperibile, fragile all’apparenza ma scaltro e determinato; Paulus, il suo servo siriano, un gigante nell’aspetto e un cuore di fedeltà assoluta. E Diamante, Diamante soprattutto, l’essenza di una femminilità appassionata e seducente che si concede di vivere con una libertà da cortigiana.
Il Vampiro di Venezia è un romanzo in cui seduzione e oscurità intrigano in egual misura, in cui la rievocazione storica e l’invenzione si fondono in totale armonia, in cui le quinte teatrali di una città che è palcoscenico per eccellenza si aprono sulle passioni incontrollabili degli uomini.
Giada Trebeschi confessa, in coda al romanzo di aver “giocato per farci viaggiare nel tempo e nello spazio con la forza non solo della sua, ma anche della nostra immaginazione”. E io non posso dirle se non che il gioco le è riuscito alla perfezione.