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New York, Lower East Side. Eric, ebreo di quinta generazione, scrittore fallito e frustrato direttore di un ristorante alla moda, si imbatte per caso nel nuovo barista, il vitale ed esuberante Ike, e lo accompagna lungo una noiosa notte di bagordi. Quando vengono rapinati da due ragazzini afroamericani, Eric fa istintivamente “la cosa giusta”: consegna il portafogli distogliendo lo sguardo, mentre Ike sfida verbalmente gli aggressori e finisce ucciso. Da qui il romanzo segue passo a passo le indagini nei sette giorni successivi alla morte di Ike.
Man mano che si procede nella lettura appare via via più evidente che, per l’autore, il “police procedural” è solo lo strumento per descrivere l’impatto sulle vite altrui di una morte banale, terribile ed improvvisa.
Al ritratto di Eric, per il quale l’interrogatorio umiliante cui lo sottopone la polizia, che fraintende il suo senso di colpa, diventa un punto di non ritorno, si affianca quello del giovane assassino, Tristram, adolescente infelice, maltrattato dall’ex patrigno e deriso dai compagni, quello di Matty, l’investigatore di origini irlandesi che, oltre alle indagini deve gestire una paternità fallimentare e l’attrazione non ricambiata verso la matrigna di Ike, a sua volta crudelmente ignorata dal marito, incapace di elaborare il lutto per la perdita del figlio.
Lungo i margini della vicenda si aggira, come un grottesco coro greco, la “Squadra Speciale della Qualità della vita”, un gruppo di cinici poliziotti in borghese che pattuglia le strade a bordo di un auto civetta cammuffata da taxi, per incastrare spacciatori e delinquenti di mezza tacca. E sarà proprio grazie ad un casuale fermo della “Qualità della vita” che l’assassino sarà scoperto e punito.

Ed Mc Bain incontra Henry (e un po’ anche Philip) Roth in questo romanzo nel quale un’impeccabile struttura poliziesca racchiude un intreccio variopinto sul piano stilistico, ricco e complesso su quello dei contenuti. Si gustano così i dialoghi brillanti fra poliziotti di tutte le razze, si seguono i differenti percorsi esistenziali dei vari personaggi, si assapora la ricostruzione del Lower East Side nella transizione dalla declinante civiltà ebraico-newyorkese ad una multiculturalità dove ogni cosa è superficiale imitazione di qualcos’altro (e basta un alone di condensa per simulare un’apparizione miracolosa), la descrizione dei sobborghi popolati da ragazzini afroamericani che hanno per unica famiglia le nonne e dell’universo a sè degli immigrati cinesi, dove si subaffittano le assi stese in appartamenti ridotti ad alveari.
E dopo averlo usato come contenitore di un intero universo, l’autore si sbarazza del genere poliziesco dimostrandone l’irrealtà: col progredire della narrazione, il fatto scatenante, la rapina, perde progressivamente importanza, così la scoperta casuale del colpevole non ha alcun effetto catartico sulle vite dei personaggi. Il fine ultimo del giallo, l’individuazione e la punizione del colpevole, si rivelano una mera convenzione letteraria senza significato.
Ciò che rimane al lettore è l’immagine di Ike, giovane vigoroso, pieno di fascino, entusiasta e istintivamente simpatico, i cui innumerevoli talenti hanno però potuto solo condurlo alla più stupida delle morti, laddove Eric, l’inetto, il codardo, ottiene, forse una seconda possibilità.

donatella capizzi

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