Intervista a Salvo Toscano

Giornalista per lavoro, scrittore per passione. Salvo Toscano è uno dei tanti giallisti emergenti nella variegata cornice palermitana, che può contare su una vivacità non comune dal punto di vista narrativo. Sotto il Monte Pellegrino sono diversi gli autori, emergenti e non, che occupano un posto di rilievo nel panorama nazionale. Su tutti Santo Piazzese, seguito da Davide Camarrone, Gery Palazzotto, Giacomo Cacciatore e Valentina Gebbia.

Ad animare i noir metropolitani di Toscano c’è una strana coppia di fratelli, Roberto e Fabrizio Corsaro, che si muovono disincantati in una Palermo spesso presa in giro per i suoi vizi e i suoi eccessi borghesi.

Nel 2005, con “Ultimo appello”, l’esordio di Salvo Toscano con la casa editrice Flaccovio, l’anno seguente “L’enigma Barabba” arriva in semifinale al premio Scerbanenco e nel 2009 “Sangue del mio sangue” è finalista al premio Zocca Giovani..

Come mai hai scelto due diversi protagonisti? Tra l’altro sono due fratelli diversissimi l’uno dall’altro: uno è un serio avvocato, l’altro un giornalista viveur.
“A me le storie con l’unico eroe senza macchia e senza paura non sono mai piaciute troppo e ho preferito avere i due fratelli che si dividono la scena. Mi piace l’idea di avere la possibilità di una doppia narrazione e di raccontare la stessa storia con due punti di vista differenti”.

Sembra che rappresentino entrambi una parte di te, visto che sei un giornalista laureato in giurisprudenza…
“Sì, per il giornalista mi sono servito delle mie esperienze professionali, mentre l’avvocato che è il buon padre di famiglia è quello che sono un po’ io nella vita, molto attaccato ai figli e alla casa”.

Ti sei ispirato a dei modelli particolari per la stesura del tuo primo romanzo?
“Non ho un modello preciso se non quello del giallo classico: omicidio, investigazione, scoperta. Si può dire che ho letto tutto di Agatha Christie e mi sono appassionato ai giallisti italiani, ben prima che conoscessero il successo di adesso, come Lucarelli. Mi è sempre piaciuto il giallo per come riesce a raccontare le città, gli ambienti e la vita reale”.

La tua Palermo viene descritta quasi controcorrente: usi spesso l’ironia e non citi mai la mafia.
“La mia cifra è l’ironia perché mi diverte scrivere. Palermo è una città complessa che mi suscita questo senso di leggerezza, anche se nell’ultimo romanzo ho spostato la scena in un paesino di montagna, descrivendo le difficoltà dell’adattamento in una realtà più piccola. Di mafia si parla abbondantemente, ma è solo uno dei tanti aspetti di Palermo. Qui la mafia è un humus che si innesta nella cultura della gente, ma le organizzazioni criminali sono altrettanto pervasive anche in altre parti del mondo”.

Diversi giallisti siciliani sono palermitani. Che rapporti avete? Perché non riuscite a “fare rete” come il “gruppo 13” degli scrittori romagnoli?
“Ci conosciamo e con molti siamo amici ma effettivamente non siamo bravi a creare un circolo o una nuova esperienza. Dovremmo scuoterci e creare qualcosa di nuovo. Purtroppo lavoro troppo e ho poco tempo per scrivere e organizzare…!”

andrea sessa

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