Il brevetto del geco



Tiziano Scarpa
Il brevetto del geco
Einaudi
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Se fosse una canzone, “Il brevetto del Geco” di Tiziano Scarpa suonerebbe come Brimful of Asha dei Cornershop. Scarpa gioca con le parole come il gruppo inglese con le note e anche se lo scrittore veneziano ha negli anni smussato i suoi funambolismi, o lo ami o lo odi. Nessuna via di mezzo possibile. Ex cannibale, eccentrico (lavora con le parole in più settori), Scarpa ha confezionato un’opera che mescola generi diversi e che ruota attorno al mondo dell’arte. Non so se il mio amico bolognese (d’adozione) Walter Guadagnini apprezzerebbe o meno il ritratto anche spietato che ne esce ma, di certo, lui curatore di mostre ma non soltanto, saprebbe coglierne tutte le sfumature. Al centro della scena Federico Morpio, artista appunto, e Adele “giovane donna malinconica”. Lui talentuoso, squattrinato e idealista, lei surreale come la protagonista del “Favoloso mondo di Amelie” e folgorata dall’incontro inatteso con un Geco che le cambierà la vita. C’è un terzo attore nella storia: la parola, che nel corso del romanzo di Scarpa prende corpo sino a diventare carne e sangue. Molto di più della trama qui non vi sveleremo. Primo perché non ci piace farlo (che senso ha recensire raccontando tutto o quasi di una storia che deve ancora essere letta?), secondo perché soprattutto nel caso del Brevetto del Geco l’operazione risulterebbe inutile. Provate voi a classificare Brimful of Asha: certo per Wikipedia che qualcosa deve pur scrivere è “indie”. Però potrebbe essere tutt’altro. Il romanzo è a tratti divertente, malinconico, visionario; a tratti annoia, soprattutto nella parte centrale laddove Adele scopre la fede: lì l’autore esagera con gli artifici linguistici. Comunque da leggere: Scarpa è pur sempre uno Strega.

 

 

Alessandro Garavaldi

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