Paolo Foschi
Nato a Roma nel 1967, Paolo Foschi si è diplomato in educazione fisica. E’ appassionato di musica e, come il suo Eroe Igor Attila, suona nei momenti liberi. Se avesse potuto sarebbe diventato un concertista ma la dura necessità lo ha riconvertito, ahilui, in giornalista. Lavora al Corriere della Sera e si occupa di inchieste e approfondimenti di cronaca, politica e economia. In passato ha lavorato all’Unità, al gruppo Espresso e in Mondadori. Con E/O Edizioni ha pubblicato cinque romanzi e un racconto che hanno per protagonista il commissario Igor Attila e una fantomatica Sezione Crimini Sportivi: il primo è Delitto alle Olimpiadi (2012, vincitore del 47° Concorso nazionale di letteratura sportiva del Coni), seguito da Il castigo di Attila (2012), Il killer delle maratone (2013), Vendetta ai Mondiali (2014) e Omicidio al giro (2015), oltre al racconto L’Angelo Azzurro, inserito nell’antologia Giochi di ruolo al Maracanà (2016), di cui è stato lui stesso ideatore.
La pattinatrice sul mare è ambientato su una piattaforma petrolifera ancorata nel Canale di Sicilia. Una location decisamente inusuale. Come ti è venuta quest’idea?
Le piattaforme petrolifere sono luoghi di confine sospesi fra due condizioni estreme: la natura selvaggia del mare aperto e la tecnologia avanzatissima messa in campo dai colossi dell’energia. Volevo un’ambientazione diversa da quelle tradizionali e che al tempo stesso permettesse di affrontare alcuni temi di grande attualità, a cominciare dall’inquinamento, ma non voglio anticipare troppo per non rovinare la sorpresa ai lettori.
Sei mai stato su una piattaforma? Magari inviato dal tuo giornale?
Sono stato una volta su una piattaforma metanifera nel mare Adriatico per lavoro e ho sfiorato per turismo, senza poterci salire, una piattaforma petrolifera nel Mare del Nord. In entrambe le occasioni sono rimasto spaventato e affascinato da queste strutture che si ergono nel mare a sfidare la natura.
Dalla lettura pare di intuire che sei un ecologista convinto. Praticamente un “Balenottero” pacifico. E’ così?
Credo che tutti dovremmo impegnarci per vivere in un mondo a misura d’uomo. Nel mio piccolo, quando posso vado al lavoro in bici, consumo prodotti a chilometri zero e sogno di produrre l’energia elettrica di casa pedalando su una cyclette collegata a un generatore.
Puoi spiegare perché hai chiamato “Balenotteri d’assalto” gli ecoterroristi che scorrazzano sui mari. Un nome che è anche una definizione semiseria e muove al sorriso.
C’è molta autoironia in questa scelta. Da tanti anni faccio le gare di nuoto master e in maniera goliardica ci assegniamo fra noi soprannomi di tutti i tipi. C’è chi si fa chiamare Squalo, chi Murena, chi Delfino. Io ero indeciso fra Medusa Spiaggiata e Balenottero, alla fine ho optato per questo. Quando mi sono trovato a scrivere di questi ecoterroristi, volevo un nome che facesse sorridere più che incutere timore.
Poiché quando si scrivono romanzi è difficile uscire completamente da se stessi, dal proprio vissuto, immagino che tu abbia avuto a che fare con qualche associazione/organizzazione ecologista più o meno feroce. Credi che sia davvero utile dare la caccia alle baleniere e cercare di impedire lo sterminio dei cuccioli di foca, giusto per citare due abusi macroscopici del nostro pianeta? Hai mai pensato alle mattanze dei tonni che finiscono direttamente in scatola?
Penso che qualsiasi forma di violenza sugli animali andrebbe evitata. Culturalmente e socialmente non siamo ancora pronti a rinunciare a mangiare carne o pesce, ma forse sarebbe una scelta più rispettosa dell’ambiente. Confesso che su questo punto ho comunque le idee confuse. Però la crudeltà gratuita sugli animali va combattuta con determinazione, su questo non ho alcun dubbio.
Claudine, la tua protagonista, è una pattinatrice che si allena per le Olimpiadi. Bella brava, coccolata dai media… fa venire in mente Carolina Kostner. Immagino che su di lei un pensierino tu l’abbia fatto. Uno sport spettacolare, il pattinaggio, però trascurato da scrittori e giornalisti e anche questa tua scelta è inusuale. Te ne sei mai occupato per motivi di lavoro?
Anche se ho iniziato a scrivere come giornalista sportivo tanti chili e tanti capelli fa, non mi sono mai occupato di pattinaggio sul ghiaccio, che però considero una disciplina stupenda perché non è solo sport (peraltro molto faticoso), ma è anche arte. Una pattinatrice oltre a eseguire bene esercizi difficilissimi, deve emozionare i giudici e il pubblico, deve farli sognare.
Non per buttarla in politica, ma leggendoti pare di intuire che tu sia “progressista e di sinistra”. Parli di ecologia, di famiglie allargate messe su da coppie gay. Il tuo protagonista è un commissario di polizia anomalo perché detesta le armi. Non ami i reality. Sei chiaramente schierato contro la svendita di pezzi di mare a magnati. Che altro? Quale pensi sia la vera priorità per salvare il pianeta?
Confesso: sono di sinistra, orgoglioso di esserlo, anche se poi non vedo partiti che mi rappresentino. Credo nell’uguaglianza, nel rispetto dei diritti civili, nella solidarietà e nell’accoglienza, nella libertà e nel rispetto reciproco. Penso che la diversità sia ricchezza e che la pace sia un valore irrinunciabile. Pur essendo ateo/agnostico/panteista, mi riconosco in molti valori della chiesa (intesa come quella che sta dalla parte degli ultimi e non quella dell’Inquisizione o quella secondo cui, in tempi più recenti, votare il Pci era peccato). Non sopporto omofobia, razzismo, intolleranza, violenza, arroganza e disonestà.
Quando poi mi metto a pensare al futuro del pianeta, mi vengono i brividi. Viviamo in una società profondamente ingiusta, la maggior parte della popolazione mondiale vive in condizioni drammatiche, la ricchezza è sempre più concentrata in pochissime mani. C’è chi dice che la terza guerra mondiale scoppierà per il controllo dell’acqua, bene indispensabile che prima o poi si esaurirà. Non so se sia vero, ma penso che anche la povertà sempre più diffusa sia un elemento che potrebbe portare all’implosione del pianeta.
I tuoi libri hanno come protagonista il commissario Igor Attila della sezione Crimini dello sport. Tu sei diplomato in educazione fisica. Questo lascia intuire una tua passione collaterale. Eppure come giornalista ti occupi abitualmente di economia e politica. Perché non ti sei tuffato anche tu nel giornalismo sportivo?
In realtà, come accennavo prima, ho cominciato a lavorare come giornalista scrivendo di sport, ma quasi subito ho sentito l’esigenza di ampliare i miei orizzonti occupandomi di altro. Lo sport resta uno dei punti fermi della mia vita: come Igor Attila, ho sviluppato una forma di dipendenza dalle endorfine prodotte con gli allenamenti di resistenza. Se mi fermo, vado in astinenza. Quindi nuoto, corro e vado in bici, altrimenti sto male. E quando posso gareggio perché l’adrenalina della competizione è più eccitante del viagra.
Come sei approdato ai noir? Di solito a deviare su questa rotta sono i cronisti di nera e di giudiziaria, i magistrati, gli avvocati penalisti, gli ex poliziotti. Perfino gli ufficiali dei carabinieri. Come ti è nata la voglia di architettare omicidi? La risposta potrebbe essere scontata, è vero, ma ci piacerebbe averla da te.
Sono un appassionato di gialli, thriller e noir, amo molti autori italiani, in particolare Massimo Carlotto, un vero maestro del genere, Antonio Manzini, Carlo Lucarelli, Sandrone Dazieri e tantissimi altri. Fra gli stranieri i miei preferiti sono i francesi, Simenon su tutti, e poi Dominique Manotti e Le Maitre. Qualche anno fa ho deciso di provare a mettere insieme tre mie grandi passioni: appunto letteratura di genere, sport e musica. Il risultato è questo strano personaggio, il commissario Igor Attila, ex pugile che vive nel rimpianto di non aver vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Seoul e che anestetizza i dolori dell’anima correndo, cantando le canzoni del Genio Incompreso (Luigi Tenco) e sorseggiando calvados. E’ il responsabile della sezione crimini sportivi, anche se in realtà indaga su crimini comuni che però coinvolgono personaggi del mondo dello sport. L’obiettivo dei miei libri è regalare qualche ora di piacevole intrattenimento a chi legge, facendo riflettere con il sorriso su temi seri, dai diritti civili al doping, dall’inquinamento alla violenza sulle donne, dal calcioscommesse al traffico di vite umane sulle rotte dei migranti. Nella scrittura dei romanzi c’è comunque molto del mio lavoro di giornalista, perché le storie come è normale che sia vivono di fantasia e escamotage narrativi, ma l’ambientazione è sempre rigorosa e frutto di un attento lavoro di documentazione con i metodi tradizionali del giornalismo di inchiesta.
E ora la domanda a cui nessuno può sottrarsi. Dove porterai il povero Igor Attila nel tuo prossimo libro?
Dopo la missione sulla piattaforma petrolifera, Igor Attila torna a Roma per indagare su una misteriosa serie di omicidi nei circoli sportivi lungo il Tevere. Per adesso non posso aggiungere altro, ma mi sto già divertendo a scrivere.
Milanonera ringrazia Paolo Foschi per la disponiblità.