Appena arrivato in libreria, è un ritorno annunciato e benvenuto quello di Niccolò Taverna, notaio criminale che prende il via proprio dalla scena finale della precedente avventura del detective milanese. 27 agosto 1576, recita infatti la data d’inizio e anche stavolta il Capitano di Giustizia, Giacomazzo Valente da Bruges gli appioppa contemporaneamente due casi polizieschi da sbrogliare perché Niccolò Taverna è il suo uomo migliore… L’unico che sa mettere in atto le più avanguardistiche tecniche d’investigazione..
Il primo caso che lo strappa controvoglia dalla compagnia e dalle braccia della bella e volitiva Isabella Landolfi, l’angelo dagli occhi smeraldo di: Il segno dell’untore diventata la padrona del suo cuore, è legato all’uccisione di una giovane donna. Un assassino che, armato di balestra, ha già colpito altre volte. Apparentemente scegliendo le sue vittime a caso, senza logica e senza movente. I dardi usati per uccidere sono dei quadrelli di bassa fattura, ma levigati con cura e scagliati da un tiratore scelto. Un bravo? Un militare della guarnigione? Un pazzo? Tutto è possibile, ciò nondimeno è qualcuno che bisogna fermare a ogni costo!
E, per parlare del secondo caso, con i banditi che hanno preso in ostaggio alla Conca di Varenna, i figli di don Carlos de Alcante, ricchissimo pari spagnolo legato al governatore di Milano e alla corona, potrei citare gli sconfortati versi di Arnaldo Fusinato, scritti per l’ultima ora di Venezia: … il morbo infuria il pan ci manca sul ponte sventola bandiera bianca. Perché per recarsi alla cava di Allise magazzino di pietre e sabbia sulle rive del Naviglio dove i sequestratori e gli ostaggi sono asserragliati, Taverna dovrà confrontarsi con la peste, che infuria da settimane, attraversando zone cittadine permeate dalla cupa cappa da girone dantesco, poi trovare del pane e altro per nutrire rapitori e ostaggi e usare come bandiera bianca un fazzoletto che sventolerà per parlamentare.
Il capo dei banditi, Lasser de Bourgignac chiede: «…soldi, cavalli e una lettera d’immunità per fuggire in Francia, passando per la Svizzera con la garanzia di un salvacondotto da parte dei magistrati di Lucerna» spiegò don Giacomazzo. «Per sé e i suoi uomini, naturalmente.»
Questo Lasser  si dimostra disumano, feroce e molto sicuro di sé. Anche troppo. Cosa c’è dietro? Senza poi contare che il sequestro ha provocato il blocco dei materiali provenienti dalla Conca di Varenna che servono alla Fabbrica del Duomo per i lavori nella cattedrale fortemente voluti dall’arcivescovo cardinale Carlo Borromeo in persona, per ridare speranza e fede alla popolazione decimata dalla peste… Però una nuova vittima dell’implacabile serial killer, che pare impegnato in un folle videogame cinquecentesco, costringerà Taverna a tornare a Milano. Il dardo assassino è uguale ai precedenti… Niccolò Taverna deve dividere le sue forze, il portoghese Tadino dal Rio alla cava ma, come si fa a resistere a una cascata di acque limpide dagli occhi di smeraldo?, non può impedire a Isabella di aggregarsi al suo Rinaldo Caccia, il gigante buono, per dare la caccia al balestriere sconosciuto.
Però, al suo ritorno ad Allise, il suo nuovo drammatico problema è il cardinale Carlo Borromeo. E meno male che… Insomma non c’è proprio il tempo di tirare il fiato… Con sottile e calibrato humour che non guasta, ma al galoppo serrato, Franco Forte ci tiene in sospeso fino alle ultime pagine prima di regalarci due soluzioni inesorabilmente intrecciate tra loro, ma anche un intrigante epilogo che prelude a un prossimo seguito. E allora… Che dire, se non: appuntamento a presto!