Quando si ha il genio di inventare un personaggio che entra subito nel cuore della gente, quando si ha la bravura di raccontarlo in un modo diverso e originale, a prima vista addirittura ostico, ci si può anche permettere, giunti oltre il ventesimo libro, di concedersi una pausa di far subentrare il pilota automatico e di concedersi un volo tranquillo, lineare, senza picchi, sbalzi o perdite di quota.
Ecco, questa è l’impressione che ho avuto leggendo “La giostra degli scambi”, il nuovo Montalbano.
Un libro scritto e narrato con l’usuale maestria, ma che nulla aggiunge alla serie. Al contrario invece ne sembrerebbe quasi rallentare l’evolversi, fermandosi a aspettare. I riferimenti all’invecchiare di Montalbano, così’ presenti nei precedenti, qui si riducono solo a un paio di battute fatte dal Dottor Pasquano, nessuna “sciarratina ” con la lontana Livia che, lei sì, comincia a mostrare qualche ruga e capello bianco. Forse questo può essere spiegato dalla dichiarazione di Camilleri che dice che non ha intenzione di far morire l’amato Commissario. Ecco la mecessità , allora, di rallentare l’invecchiamento e l’avvicinarsi del pensionamento del nostro Commissario. Solo il dialetto sembra negli ultimi libri subire un’impennata: il suo uso è ancora più marcato, più stretto. Il resto invece segue la rotta consolidata: tra un’abbuffata in verandina e una da Enzo, una storpiatura dell’adorante Catarella e la precisione di Fazio, il sempre utile passato ( ma sarà poi veramente passato?), da latin lover di Mimì, le notizie divulgate a arte dal giornalista Zito e le sceneggiate dal Pm e dal questore, la storia arriva all’epilogo, saziando il lettore ma senza soddisfarlo completamente.
La giostra degli scambi
Cristina Aicardi